Intervista a Luciano Vasapollo
Dall’ esempio dell'ALBA latino-americana, per aprire la sfida della costruzione di un'area antimperialista e anticapitalista nel Mediterraneo.
Per un nuovo modello di cooperazione e sviluppo solidale e complementare
Intervista al prof. Vasapollo
a cura di Davide Angelilli
In questa sostanziosa e incalzante intervista discutiamo con il Professor Luciano Vasapollo[1] dell' "Alianza Bolivariana Para los Pueblos de Nuestra America": un processo d'integrazione regionale tra paesi che stanno attuando diverse vie al socialismo in America Latina. Quando, nel 2004, i governi di Cuba e Venezuela danno vita all'ALBA identificano i problemi dell'area con i modelli di sviluppo imposti dall'imperialismo, con l'attività economica delle grandi imprese multinazionali e transnazionali ed in particolare con le riforme strutturali neoliberiste imposte negli anni del Consenso di Washington. Come vedremo nell'intervista, l'Alternativa Bolivariana non rompe solamente con i precedenti modelli d'integrazione regionale di matrice keynesiana o neoliberista, bensì propone un modello altro di relazioni economiche internazionali anticapitaliste, in cui la solidarietà rimpiazza la competizione e in cui il fine ultimo è promuovere la socializzazione dei modelli produttivi. A oggi fanno parte del processo, oltre a Cuba e Venezuela, Bolivia, Nicaragua, Ecuador, San Vincent y Las Granadinas, Antigua y Barbados e Dominica.
Iniziamo da quelle che sono le radici storiche e politiche dell'ALBA. Nel 1989 il tonfo per il crollo del muro di Berlino rimbombò anche sull'America Latina. Si passò da un mondo bipolare ad uno in cui gli USA restavano come unica potenza mondiale e l'economia di mercato l'unico modello da seguire. Molti paesi del cosiddetto Terzo Mondo, che s'ispiravano all'Unione Sovietica come modello socialista in contrapposizione al capitalismo, furono obbligati ad abbracciare il sistema neoliberale, a tutti noto come globalizzazione. In questi anni, a livello internazionale, il governo cubano consolida il cammino socialista facendosi esempio e punto di riferimento dell’antimperialismo e della resistenza al modello neoliberista. All'interno della società cubana, infine , si apre un processo molto partecipato di perfezionamento e attualizzazione della pianificazione nel mantenimento e rafforzamento di quello che può definirsi socialismo possibile, in cui una parziale apertura al mercato senza l’accettazione delle leggi del profitto - e quindi senza rinunciare al socialismo - diventa necessaria per garantire la sostenibilità coerente della rivoluzione cubana.
Possono questa fase di transizione cubana, e soprattutto il dibattito politico che l'anima, essere considerati l'inizio del Socialismo del ventunesimo secolo, nucleo teorico dell'Alleanza Bolivariana?
L.V. Se vogliamo capire fino in fondo che cosa è la costruzione dell'ALBA e del Socialismo del - io direi meglio per o nel - ventunesimo secolo, prima di parlare di Cuba, dobbiamo analizzare la tradizione culturale lasciata da grandi intellettuali dirigenti rivoluzionari come Bolìvar e Jose Martì[2], dalle ribellioni degli indios andini e boliviani contro l'impero spagnolo. E' da qui, nel lontano 1800, che nasce l'idea di una grande integrazione latinoamericana come fronte comune contro l'imperialismo USA. Martì la chiamò Nuestra America, qualcun altro la Grande Patria, arrivando a quella che Che Guevara chiamava la Maiuscola America. C'è inoltre un grande filone di intellettuali, dirigenti socialisti e comunisti, latinoamericani, cui appartiene per esempio Mariàtegui, che faceva del discorso dell'indipendenza e dell'autodeterminazione l'anello portante di un processo d'integrazione latinoamericana.
L'ALBA rappresenta la "mescolanza, o mezcla ", l'unione, di questi ardori che infiammano i progetti antimperialisti nel continente latino. Così arriviamo alla rivoluzione Cubana, che è la prima grande espressione di questo nel ventesimo secolo. Nasce, infatti, come rivoluzione profondamente ispirata al pensiero di Jose Martì e va via via sempre più assumendo il marxismo come guida per la costruzione di una società migliore alternativa, libera, giusta, di uguali, in contrapposizione alla società della barbarie del capitalismo.
E' fondamentale sviscerare le caratteristiche della crisi economica profonda della fase della rivoluzione cubana nel periodo immediatamente successivo all'implosione del colosso sovietico . Si consideri oltre alla ragione che tu hai esposto, che si è pensato per lungo tempo, con una mentalità socialista eurocentrica, e tutt’oggi questo è l’approccio della sinistra europea, e in tal senso si pensò anche allora, che il modello sovietico fosse l'unico possibile di riferimento per il superamento del capitalismo. La rivoluzione bolscevica, con tutte le sue contraddizioni e difficoltà, ha avuto sicuramente il grande merito di dimostrare al mondo che fosse possibile un'alternativa reale, attraverso la pianificazione socialista, all'economia di mercato capitalista. L'URSS -è vero- nel corso della sua storia ha commesso errori, e forse anche orrori nella gestione di contesto, definibili e valutabili solo in relazione alla fase storico-politica di riferimento, perché i processi politici nella storia dell'umanità sono a volte talmente complessi da presentare anche forte contraddizioni. Ma risulterebbe superfluo analizzare l'esperienza comunista russa senza considerare che fu il baluardo nella resistenza mondiale alle barbarie del Nazismo e del Fascismo. Inoltre, dobbiamo sempre ricordare che il socialismo è una fase di passaggio, di trapasso appunto alla nuova società, e il primo errore dell'Unione Sovietica fu proprio quello di dichiarare , in una fase in cui non si erano certo determinate le condizioni del socialismo compiuto, terminato questo processo di transizione. Un altro errore commesso dall'URSS fu quello di rincorrere il capitalismo sul campo dello sviluppo tecnologico ad uso militare e non per fini sociali. Ma rimane nell'eredità dell'esperimento sovietico la forte contrapposizione al modello di sfruttamento capitalistico, una forte redistribuzione della ricchezza e una socializzazione dei mezzi di produzione.
Con la fine dell’esperienza socialista sovietica, Cuba -che orientava l'85% del suo commercio internazionale nel COMECON- venne travolta da una grave crisi che comportò l’ esplicitarsi di quella drammatica fase socio-economica, che va sotto il nome di periodo especial, con il passaggio da un'economia di alcune scarsità alla povertà. Ciò nonostante dall'isola caraibica si alzò una voce di resistenza contro il capitalismo aggressivo a cui si consegnarono gli altri paesi, ma una voce anche di costruzione di un socialismo diverso, perché diverse divennero le condizioni in cui necessariamente si dovette agire.
Grazie a un importante processo di modifiche, correzione degli errori, perfezionamenti , riadattamenti alle nuove condizioni nazionali e internazionali, si va verso l'attualizzazione di un socialismo dinamico pronto alle nuove sfide, nuovo perché orientato a un diverso contesto storico, economico e politico. Così la rivoluzione cubana riuscì ad affrontare la crisi dell'economia nazionale e, allo stesso tempo, divenne un faro per tutti quei paesi che, in questo periodo caratterizzato dalla più sfrenata liberalizzazione dei mercati, soffrirono la rapacità del capitale internazionale. Non ci sarebbe stata sicuramente l'Alleanza Bolivariana se Cuba, in quegli anni difficili, non avesse resistito.
Passiamo alla storia dell'ALBA e ai primi passi compiuti da quest'alleanza politica antimperialista nel campo della cooperazione internazionale. Non si può trascendere dall'analisi di quell'interscambio di beni e servizi ( cosiddetta medici per petrolio) tra Cuba e Venezuela, e nemmeno ci si può riferire a quest'ultimo caso nei termini di una semplice operazione di baratto come troppo semplicisticamente viene spesso etichettato.
Centrale è la questione relativa ai prezzi delle merci scambiate:il valore dei beni transitati non viene identificato direttamente con la loro quotazione mercantile nazionale o internazionale, bensì in relazione a questa, gli viene attribuito un prezzo preferenziale che è considerato "giusto".
Prendendo come spunto la questione del valore delle merci scambiate, qual è la relazione tra questi primi passi della cooperazione internazionale nell'ALBA e il pensiero terzomondista di Amin? Possiamo rifarci in particolare alla teoria del Delinking di Amin, secondo cui il commercio internazionale, per favorire lo sviluppo dei paesi più arretrati, dovrebbe basarsi su una legge del valore a base nazionale e rilevanza popolare, invece che sulla legge di valore del capitalismo mondiale?
L.V. Diamo continuità a ciò di cui parlavamo prima, anche per spiegare i primi passi dell'ALBA ponendoli in una dimensione storica di contesto in cui assume pieno significato il processo. Parallelamente alla resistenza di Cuba, in Venezuela la popolazione si ribellò a un governo nominalmente non fascista, ma di matrice socialdemocratica latinoamericana, fortemente legata agli interessi statunitensi nel paese. Da qualche decennio con Rita Martufi[3] effettuiamo lunghi viaggi di carattere politico e culturale in vari paesi dell’ America Latina ed eravamo a Caracas anche nel 1989, quando la rabbia del popolo esplose in una grandissima protesta contro i piani di riforme neoliberiste che avevano affamato il paese. Una rivolta per il pane, per i beni alimentari di prima necessità, passata alla storia come "El Caracazo". Proprio in quell'occasione si affacciò in maniera dirompente sulla scena politica la figura di un colonnello, Hugo Chàvez: un militare democratico e progressista che, appellandosi al pensiero e all'esempio del patriota Simon Bolivar, si rifiutò di sparare sui manifestanti, sul suo popolo.
Nel 1992 Chàvez e il suo fronte provarono una ribellione civile militare con l'obiettivo di instaurare un processo democratico che si sottraesse ai dettami dell'imperialismo. Il tentativo fallì, così Chàvez finì in carcere dove avrebbe approfondito i suoi studi sui movimenti e le teorie rivoluzionarie , sul marxismo e, insieme a quello che sarà nei suoi successivi governi lo storico Ministro della pianificazione economica Giordani, avrebbe ripreso in maniera più sistematica lo studio su Gramsci.
Mi sia concesso sottolineare che il pensiero di Gramsci è vivo in America Latina molto più che qui in Europa, dove il comunista italiano è stato spesso bistrattato da gran parte dei gruppi dirigenti delle organizzazioni e dei partiti storici del movimento operaio.
Riprendendo il filo del nostro discorso, Chàvez avrebbe vinto per la prima volta le elezioni nel 1998. Con la sua vittoria iniziò un processo democratico partecipativo, antimperialista che agli albori non era fortemente caratterizzato da un orientamento politico socialista, bensì centrato sull'eredità del pensiero Bolivariano e basato su una forte redistribuzione della rendita legata al petrolio. Aver sottratto la rendita alle multinazionali significò metterla a disposizione dello sviluppo nazionale equilibrato, socialmente sostenibile, incentrato sugli investimenti di carattere sociale e in primis sulla lotta alla povertà, all’analfabetismo .
Chàvez cominciò negli anni a guardare con sempre maggiore simpatia e affinità al socialismo cubano; tra lui e Fidel nacque quel vincolo forte di profonda amicizia , di stima reciproca, di comunione di intenti rivoluzionari antimperialisti e anticapitalisti, che nel 2004 portò alla nascita dell'Alternativa Bolivariana. L'idea dell'ALBA era fortemente chavista e imperniata su un principio fondamentale: lo scambio solidale e complementare, fuori e contro le leggi del profitto, quindi dello sfruttamento. Un modello di relazioni economiche che si regge, non sulla legge del profitto del mercato internazionale dettata dalla teoria dei vantaggi comparati, ma sul conseguimento del maggior benessere possibile per i popoli. La complementarità e la solidarietà dei vantaggi cooperativi, mettendo a disposizione i punti di forza di ogni singolo paese, fomentano uno sviluppo regionale condiviso ed integrato, combattendo contro ogni ingerenza imperialista.
Ovviamente, dobbiamo pensare alle condizioni oggettive in cui germogliò l'ALBA: il Venezuela è un paese fortemente a connotato estrattivo che si regge sulla rendita dell'esportazione petrolifera. D'altro canto Cuba è un paese povero di risorse - eccetto che per grandissime quantità di zucchero, caffè e nichel- ma che negli anni di governo rivoluzionario socialista ha sviluppato un grandissimo valore nella formazione di talento umano nel campo della salute e dell'educazione, dello sport, della ricerca.
Lo scambio solidale e complementare arrivò naturale: Cuba mise a disposizione prestazione di servizi e assistenza tecnica per migliorare le disastrose situazioni nella Sanità e nell'Istruzione venezuelane, prodotte dal colonialismo e dai governi servi dell’imperialismo USA; il Venezuela ricambiò con petrolio a prezzi altamente preferenziali. L' "esperimento" riuscì: Cuba poté uscire dalla difficoltà del "periodo especial" e l'ONU, dopo pochi anni, dichiarò il Venezuela paese libero dall'analfabetismo. In tutti i quartieri di Caracas i bambini iniziarono per la prima volta a frequentare stabilmente la scuola, e si cominciarono a vedere presidi permanenti dei medici cubani che portano assistenza a comunità tradizionalmente escluse.
In questi anni, l'Alternativa si trasformò in Alleanza Bolivariana per i popoli di Nuestra America, grazie alla partecipazione di altri paesi: per prima la Bolivia di Morales[4] -primo presidente indigeno della storia-, seguita dall'Ecuador di Correa e dal Nicaragua del sandinista Daniel Ortega.
Ma arriviamo alla questione che tu poni più direttamente nella tua domanda: in effetti concreti e immediatamente visibili nei grandi risultati sociali , il perno della cooperazione che si sviluppa nello schema dell'ALBA è determinato dal passaggio dalla teoria dei vantaggi comparati, che guida il mercato capitalista internazionale, alla teoria dei vantaggi cooperativi che si basa sulla complementarità e solidarietà tra i popoli.
Hai ragione quando affermi che per sminuire questa nuova teoria e pratica della cooperazione complementare e dello sviluppo a compatibilità socio-ambientale l'hanno etichettata come un ritorno al baratto. In realtà è un passaggio fondamentale perché, in un processo di transizione al socialismo -di questo stiamo parlando- si realizza nei fatti un'inversione fondamentale, che vede un'area ratificare un accordo in cui si crea uno spazio di sviluppo condiviso che convive sì con il mercato, ma non con la legge del profitto capitalista, un socialismo diciamo così con mercato, ma non di mercato. Un'area in cui è importante, non la legge del valore in termini di relazioni capitalistiche dello sfruttamento, ma la consolidazione di valori attraverso una nuova modalità di relazioni economiche tra gli Stati orientata alla redistribuzione del reddito e della ricchezza ; alla creazione di spazi fuori mercato e d'imprese di natura sociale, che pur convivendo anche con la proprietà privata, gettano le basi per una socializzazione dei mezzi di produzione.
Sulla questione dei prezzi e dell'analogia con il concetto di disconnessione di Amin: io credo che l'ALBA non vada etichettata con specifiche formule, soprattutto perché in essa convivono vie, percorsi, e processi in divenire, per e al socialismo differenti tra loro. Per fare un esempio, infatti, ai fini dell'elaborazione di un "modello ALBA", in quanto area economica anticapitalista e caratterizzata dalla pianificazione socialista, ancor prima di Amin, potremmo parlare del COMECON. Dove, però, era esclusivamente il modello sovietico l'esempio per i paesi che vi aderivano. Al contrario, anche un poco attento conoscitore del processo di transizione socialista latinoamericano nota la sostanziale differenza tra il socialismo di Cuba e, per esempio, la revoluciòn ciudadana in Ecuador, il socialismo bolivariano del Venezuela, o il socialismo comunitario in Bolivia. D'altro canto, quando Samir Amin o Hosea Jaffe proponevano il "Delinking", lo facevano in un momento in cui, eccetto l'URSS, non esistevano realtà politiche anticapitaliste. C'era quindi la necessità di uno sganciamento per fermare la supposta -secondo le loro analisi- estorsione del surplus della classe lavoratrice del nord ai danni di quella del sud, e c'era la necessità di farlo attraverso una disconnessione dall'azienda mondo capitalista.
L'ALBA, invece , è un progetto fortemente politico, ancor prima che economico: è un'alleanza per la transizione al socialismo che non si pone solo l'obiettivo di un mercato alternativo più giusto e equo, ma è finalizzata alla costruzione di un fronte politico antimperialista e anticapitalista. Il Venezuela presenta ancora un forte legame con l'economia nordamericana, ed è giusto sottolinearlo perché risulta cruciale tenere a mente che stiamo parlando di un processo di trasformazione in itinere. In una fase di transizione socialista, la nuova società convive con leggi monetarie, mercantili, la stessa legge del valore, quindi con i paradigmi del mercato che deve man mano dismettere in funzione dei rapporti di forza che si vanno a determinare come conseguenza della ancora vigente lotta di classe. Per capirlo basta leggere "La critica al programma di Gotha" di Marx, in cui meglio di ogni altra opera il filosofo tedesco spiega questi concetti, percorsi , passaggi e tappe intermedie dei processi reali di trasformazione .
Il punto fondamentale è sempre e comunque la strategia, l'orizzonte ultimo a cui si ispira e si orienta l'agire politico ed economico.
Nella strutturazione della teoria dei vantaggi cooperativi centrale è la complementarità solidale, già individuata come fattore cruciale per il conseguimento dello sviluppo da Prebisch negli anni'60. La complementarità promossa dalla CEPAL , però, era in funzione di una crescita dei mercati nazionali e non orientata, come nell'ALBA, a uno sviluppo equilibrato regionale.
Possiamo dire, allora, che l'aspetto più rivoluzionario dell'ALBA nel dibattito teorico sull'integrazione regionale -e che la differenzia dalle due grandi ondate di regionalismi latinoamericani (quelli promossi dalla CEPAL negli anni'60, e quelli di matrice neoliberista degli anni'90)- sia rappresentata dagli altri princìpi che accompagnano la complementarità ? Mi riferisco in particolare al principio della "non reciprocità"[5], del "trattamento differenziato solidale"[6] e del "commercio compensato"[7].
L.V Sì, condivido e aggiungo che non mi meraviglia il fatto che l'ALBA si allontani dalla concezione "cepalina" dell' integrazione regionale. Il pensiero della CEPAL aveva un'impostazione keynesiana e con connotati fortemente sviluppisti e quantitativi. L'ALBA, al contrario, propone un modello di sviluppo qualitativo e di produzione altro, differente dal modello sovietico, ma non per questo non definibile socialista.
I criteri che tu hai sottolineato sono fondamentali, perché tutti insieme, formando la teoria dei vantaggi cooperativi o complementari, rappresentano la rottura non solo con esperienze antecedenti latinoamericane, ma anche con una concezione capitalistica dello sviluppo. La "non reciprocità" ne è un chiaro esempio: a determinare lo scambio tra i paesi non è ciò che può portare il libero commercio ad un singolo paese, bensì si mettono a disposizione di un'area economica solidale, e animata da principi comuni, i punti di forza dell'economie nazionali, al di là di ciò che si ottiene in cambio e in funzione di una redistribuzione della ricchezza sociale .
Non potremmo spiegare lo scambio "medici per petrolio" se non comprendiamo questo: alle condizioni prima esposte, i medici offerti da Cuba valgono molto di più del petrolio con cui il Venezuela ricambia l'assistenza tecnica e sociale ricevuta, ma lo scambio non avviene seguendo i dettami del mercato capitalista. La grandezza, non economica, ma politica e morale dei due paesi è stata decisiva nel determinare che lo scambio fosse realizzato. Se dovessimo affidarci ai parametri quantitativi capitalisti, formare un medico o un insegnante cubano non sappiamo a quanto petrolio venezuelano equivarrebbe -probabilmente si arriverebbe a dedurre che lo scambio è svantaggioso per Cuba-, ma, appunto, non è la reciprocità ciò che si cerca nelle relazioni all'interno dello schema bolivariano, ma l'appianamento delle diseguaglianze.
Per intendere ciò bisogna tenere bene a mente che il socialismo nel ventunesimo secolo in America Latina è la contaminazione tra la filosofia andina dei popoli originari del Buen Vivir e il marxismo, di cui una delle migliori e più attente espressioni sono gli scritti di Álvaro García Linera – Vice presidente boliviano-.
In questo incontro dialettico, i parametri, anche quantitativi, incontrano e si modellano non al benessere, al vivere meglio nelle diseguaglianze, ma al Vivir Bien e alla sua concezione multidimensionale e qualitativa dello sviluppo. Il risultato è un socialismo comunitario, per alcuni versi ancestrale -che parte dalle grandi tradizioni maya e azteche-. Un socialismo fondato sulla cooperazione tra i popoli e sulla solidarietà, non in termini caritatevoli[8], ma di relazioni orizzontali tra gli Stati finalizzate a uno sviluppo equilibrato.
La grande sfida è orientare la cooperazione internazionale tra i paesi all'emancipazione delle classi sfruttate. Nell'ALBA è forte la partecipazione della comunità organizzata, passando non solo da una concezione "mercatocentrica" a una "statocentrica", ma meglio assumendo una visione "sociocentrica". La "garanzia" che le risorse messe a disposizione siano orientate al beneficio delle comunità con un debito sociale più grande potrebbe essere data proprio dal coinvolgimento e, appunto, dalla loro organizzazione.
La domanda è: come prende forma questo passaggio nella sfera prettamente economica del processo?
L.V Inizialmente, negli approcci ai diversi sistemi di pianificazione socialista dell'ALBA, laddove si sta applicando concretamente, ho trovato curiosamente delle difficoltà i analisi valutative sia in termini qualitativi sia anche negli stessi risultati quantitativi, perché i dati non rispondevano spesso alle differenti realtà economico –produttive e gli schemi teorici all’implementazione fattuale pratica. Nella teoria e nella prassi del socialismo, la pianificazione è sempre stata un'attività economica fortemente centralizzata. Nell'ALBA, e significativamente a Cuba in particolare -oggi la più grande esperienza di socialismo possibile e realizzato-, è partita una sperimentazione di convivenza tra pianificazione centralizzata e decentralizzata.
Perché questo fatto si ricollega con la tua riflessione sul ruolo delle comunità? C'è un piano centrale che stabilisce gli obiettivi e le risorse da mettere a disposizione, la distribuzione di queste, ma poi sono le comunità locali a determinare quali sono le possibilità concrete per lo sviluppo locale. Questo è cruciale nel massimizzare l'efficacia e l'efficienza delle risorse a disposizione ed è una novità teorica e pratica nel socialismo. Un esempio sono le Sedi Universitarie Municipali a Cuba, dove i curricula e quindi la preparazione accademica fornita agli studenti, deve essere finalizzata alle potenzialità produttive di quel territorio. La strutturazione economica produttiva di Pinar del Rio, ad esempio, è diversa da quella di Santiago, per cui anche la formazione delle professionalità deve essere diversa, perché indirizzata a massimizzare la capacità produttiva. Questa è una novità assoluta nella storia del socialismo.
Abbiamo parlato della razionalità sociale della cooperazione tra i paesi dell'ALBA. Per la costruzione del Socialismo del - o come preferisce lei per e nel - ventunesimo secolo, sarà naturalmente cruciale la razionalità sociale coniugata a quella economica nel modello produttivo delle singole economie nazionali. Analizzando l'Alianza Bolivariana possiamo comunque entrare nella sfera produttiva trattando la questione delle imprese "Grannacionales".[9] Qual è il reale stato d'avanzamento di questa nuova impresa "multistatale"?
L.V Le imprese Grannacionales sono un progetto importantissimo, ma ancora in costruzione. C'è ancora molto da fare, come nel piano della diversificazione produttiva, nella costruzione dei distretti socialisti e nella sperimentazione di altre imprese di natura pubblica e sociale -la maggior parte a struttura cooperativa-.
Il fatto di convivere con l'economia di mercato, in questa che sarà una lunga fase di transizione, comporta dei grandi passi avanti ma anche delle difficoltà. Facciamo un esempio a riguardo: nella transizione, ovviamente, continua e spesso si inasprisce il conflitto di classe ; oggi la rivoluzione bolivariana è sotto attacco imperialista attraverso la guerra economica e speculativa che ha scatenato e sta scatenando l'opposizione venezuelana e che ha provocato una forte inflazione speculativa. Sottraendo dal mercato nazionale le merci prodotte in Venezuela, per mandarle in Colombia e poi farle reimportare "dollarizzate" in Venezuela, si provocano effetti economici destabilizzanti dovuti in particolare alla conseguente creazione di un importante mercato nero del dollaro e alla formazione di altissimi prezzi dei prodotti. Lo scontento suscitato così da tale guerra economica tra la popolazione, inoltre, rende difficile anche l'avanzamento del processo socialista su alcuni campi cruciali, come per esempio quello produttivo. L'esempio serve per capire che il raggiungimento dell'obiettivo finale, ossia la socializzazione dei mezzi di produzione, richiede tempi lunghi e incerti. Non solamente a causa di ostacoli economici, ma anche a problematiche di natura differente, cioè alla dinamica dei rapporti di forza determinati da una dura fase della lotta di classe in cui l’opposizione oligarchica è lo strumento di intervento da parte dell’imperialismo.
Non possiamo fare previsioni sicure su questo: nelle fasi di transizione al socialismo persiste la lotta di classe, spesso con aspri e aperti conflitti. La riuscita, come la durata del processo, il suo consolidamento rivoluzionario in fase avanzata e in chiave socialista della transizione, dipendono in buona parte dalla capacità di portarla avanti in maniera virtuosa, attenta, sviluppando tattiche intelligenti, sempre nella tenuta della strategia socialista e dalla forza reale delle soggettività rivoluzionarie in campo. Maduro in questi ultimi mesi ha ben agito e, con il coinvolgimento delle strutture del potere popolare, ha reagito in termini di potere di classe, ponendo la questione non solo sul consolidamento delle strutture di imprese statali, sociali, nazionalizzate o Gran Nazionali, ma lavorando affinché aumentasse il potere popolare nel controllo della produzione e della distribuzione. La vittoria del PSUV nelle ultime elezioni municipali l'8 Dicembre è frutto di questo intelligente e articolato percorso intrapreso che si è rivelato vincente .
E quanto sarà importante per il fronte antimperialista, insieme alla lotta per il controllo popolare, quella per l'egemonia culturale? Mi riferisco, in termini gramsciani, alla capacità delle alleanza socialiste al governo di imporre una coscienza anticapitalista a livello regionale.
L.V La questione dell'egemonia culturale è, e sarà, nei prossimi anni di primaria importanza per il rafforzamento dei processi rivoluzionari dei paesi dell'ALBA. Continuando con l'esempio del Venezuela, ritengo cruciale il rafforzamento ideologico del Partido Socialista Unido de Venezuela e la sua trasformazione in un partito rivoluzionario "fino in fondo", cioè con capacità di esprimere dirigenti e corpo militante preparato ad affrontare le dinamiche a volte impreviste e contraddittorie del processo rivoluzionario portandolo sempre più in un contesto di forte e irreversibile caratterizzazione socialista . Questo significa formazione e battaglia culturale. Ma c'è un altro concetto che tu, richiamando Gramsci, poni: la questione del blocco storico, che non è il blocco sociale. Il blocco sociale è un fronte di interessi tra soggetti di classe con bisogni e interessi socio-politici simili, invece, il blocco storico è la possibilità delle alleanze di contesto per il rafforzamento della transizione nel processo rivoluzionario.
E’ su tutto ciò che, per esempio, si vanno misurando esperienze in altre parti del mondo che si ispirano al processo bolivariano e in generale alle proposte e modalità attuative dei percorsi politici e socio-economici dell’ALBA. Come la nostra proposta di costruire un'area euro-afro mediterranea con la partecipazione dei movimenti sociali, il sindacalismo di base, i comitati in difesa dei beni comuni.
Un'alleanza internazionalista tra i movimenti sociali, operai e del mondo del lavoro e del lavoro negato, che sia in grado di rompere con l'Unione Europea pone allo stesso modo la questione del blocco storico. Quali sono le alleanze da stringere? Guardiamo all'Italia: i precari, gli immigrati, la classe operaia, intesa in senso largo come classe dei lavoratori, sono sicuramente le componenti sociali che più stanno soffrendo la crisi economica. Ma allo stesso tempo c'è una parte consistente di piccola borghesia, di piccoli imprenditori, di partite IVA, lavoro autonomo di seconda e terza generazione, che esce tritata dalla costruzione del polo imperialista europeo, progetto della potente borghesia centrale del Vecchio Continente. Alla luce di questo, possiamo affermare che la sfida è sì economica, ma la questione dell'egemonia culturale, con tutto ciò che abbraccia e comporta, è oggi di primaria importanza politica .
Luciano Vasapollo ha esposto le sue proposte per affrontare la crisi sistemica del capitalismo in un pamphlet scritto con J. Arriola[10] e Rita Martufi, "Il risveglio dei maiali, PIIGS". Edito dalla Jaca Book nel 2011 e riaggiornato nel 2012, è diventato un manifesto politico tradotto in Grecia, Spagna e Portogallo.[11] Il libro presenta un'accurata descrizione di una strategia politica per la periferia dell'Europa - appunto i PIIGS-, di rottura con L'Unione Europea e costruzione di un modello alternativo di sviluppo condiviso.
Professor Vasapollo, quali sono le vostre tesi e le vostre proposte per la realizzazione di un processo politico nella periferia europea, che possa consentire alle classi lavoratrici l'emancipazione dalla condizione di estremo sfruttamento in cui versa?
L.V Il nostro è un manifesto proposta che da quasi tre anni sta attraversando in vari paesi europei il dibattito e l'iniziativa politica di molti movimenti sociali, sindacati conflittuali -come la USB in Italia, organizzazioni politiche comuniste e anticapitaliste - come la Rete dei Comunisti- alcuni centri sociali. Dibattito sulla rottura dell'Eurozona, contro la costruzione e il rafforzamento dell’Europolo Imperialista. Dall'ampliamento degli spazi partecipativi di decisione democratica, non solo in ambito politico, passando per un miglioramento sociale conseguito attraverso una redistribuzione della ricchezza. Fino ad arrivare a una necessaria pianificazione socio-economica, che permetta un uso razionale delle risorse naturali, ma anche un orientamento delle innovazioni tecnologiche al benessere dei popoli e non al profitto delle élites. La nostra analisi va oltre la sola uscita dall'Euro, proponendo una serie di misure di politica economica a breve e medio termine (come la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e abbattendo ogni forma di precarietà, il reddito sociale garantito per i disoccupati, il diritto all’abitare con piani di edilizia popolare, investendo nel sociale ed eliminando lo sperpero in opere inutili come la TAV, recuperando risorse a partire dal non pagamento del debito e dalla tassazione dei capitali o da una seria lotta all’evasione fiscale). Politiche sociali che possano rendere il processo fattibile, con campagne di lotte per un nuovo accumulo delle forze dei movimenti del lavoro e del lavoro negato, attraverso un forte protagonismo di classe dal basso.
La convinzione di fondo, infatti, è che abbandonare l'euro è sì necessario, ma per farlo abbiamo la necessità -tutta politica- di un'alternativa radicale di sistema, percorribile e realizzabile con programmi tattici ma sempre con l’orizzonte strategico della transizione al socialismo.
Un'alternativa antisistema e di sistema sociale altro, perché affronta i percorsi del tentare le forme del fare socialismo, che può divenire concreta, in primo luogo, attraverso la concertazione tra i paesi della periferia mediterranea e, in secondo luogo, mediante un processo politico ed economico imperniato su quattro elementi/momenti, senza i quali tale processo potrebbe risultare un disastro. Per primo, la determinazione di una nuova moneta comune, LIBERA dai vincoli comunitari imposti alla moneta Euro. Poi, la rideterminazione del debito della nuova Area Libera per l'Interscambio Alternativo Solidale (ALIAS). Inoltre, il rifiuto e azzeramento almeno di una parte del debito, iniziando da quello contratto con banche e istituzioni finanziarie. Per ultimo, la necessaria nazionalizzazione delle banche, accompagnata da una stretta regolazione della fuoriuscita di capitali dall'Area e la nazionalizzazione delle imprese dei settori strategici dell’economia (trasporti , energetico , telecomunicazioni), rafforzando il paniere dei beni collettivi a totale gratuità e proprietà pubblica, come scuola , sanità, università, pensioni, abitare per chi ha difficoltà economiche, formazione, saperi, etc.
Perché la vostra voce stona e si distanzia dalle proposte di riforma interna all'Unione Europea portate avanti da alcuni settori della sinistra nostrana? Non ritenete attuabile un processo riformista in Europa? E che relazione c'è tra la vostra proposta e l'indebolimento della democrazia che stiamo vivendo nei nostri paesi?
L.V In un contesto storico ed economico come quello attuale, la vera utopia è credere nella possibilità di risolvere il problema della povertà e dell'esclusione attraverso la riforma del sistema capitalista. Tutte le proposte di rigenerazione del capitalismo -ad esempio per mezzo di un nuovo contratto sociale- rappresentano solamente il progetto delle classi medio-alte contro gli interessi della la classe dei lavoratori, intesa in senso largo e che quindi comprende ovviamente disoccupati, le mille forme di precarietà del lavoro e del sociale, i non garantiti a vario titolo etc..
Questi settori della borghesia si muovono per tagliare reddito e diritti , vita al nuovo blocco sociale proletario, e aspirano alla sopravvivenza di un capitalismo in grado di garantire maggiore estorsione di profitti e rendite. O, nel caso di altri settori meno alti della borghesia, ad un loro un miglioramento del livello di consumo, abbattendo le pur minime forme di protezione sociale universalista. Le loro proposte, infatti, non apportano nulla per integrare le masse sfruttate o per eliminare il dramma sociale della disoccupazione, anzi lo peggiorano con il classico "mors tua vita mia".
E’ una realtà che si ripete, quando nel corso della storia si è riusciti a porre dei limiti allo sfruttamento- anche solo con il miglioramento di parti di classe medio alte-, lo si è potuto fare solamente contraendo e peggiorando le condizioni delle classi subalterne proletarie e in aree molto limitate del sistema, alimentando allo stesso tempo il sistema imperialista ai danni di altre aree periferiche mondiali, dove si generava un maggiore sfruttamento, in grado di compensare la riduzione dei profitti nel centro del sistema. Inoltre, questa volta sono entrati in gioco i grossi potentati europei, banche, finanziarie, multinazionali, poteri forti. La borghesia centrale europea, che ha agisce per rafforzare l’Europolo imperialista e l’area dell’euro nella competizione globale con l’imperialismo statunitense, per competere, non solo commercialmente, ma anche in ambito monetario con il dollaro.
La nostra proposta, invece, è un'alleanza tra paesi che si dotino di un percorso autodeterminato di democrazia partecipativa, con spazi produttivi e commerciali anticapitalisti, con modalità di sviluppo autodeterminato a sostenibilità socio-ambientali, in grado di sottrarsi e sconfiggere le spietate logiche capitaliste, rompendo la subalternità e accettazione dei dettami neoliberisti e antisociali della troika, BCE, FMI e Commissione dell'Unione Europea .
Quando ci ispiriamo all'ALBA latino-americana, non diciamo che tale modello si possa esportare, ma ci riferiamo alle condizioni favorevoli per intraprendere il processo cui auspichiamo di costruzione di un'area d'interscambio solidale, complementare, che abbia le gambe per percorrere strade verso la transizione socialista.
Dobbiamo guardare a quei paesi che hanno delle caratteristiche in comune e complementari anche produttivamente , all'Europa mediterranea, all'Est europeo e all'Africa mediterranea, e comprendere che l'unica risposta alla crisi per le classi sfruttate è un'alternativa politica di sistema. Un'alternativa tutta politica che si opponga alla perdita della sovranità popolare autodeterminata e ai meccanismi di lento ma inesorabile strangolamento imposto dalle banche e dal potere economico di una nuova e potente borghesia centrale europea a guida tedesca. Una strada rivoluzionaria che sappia imporre con le lotte, con l’obiettivo del potere politico d’alternativa di sistema, la nazionalizzazione dei gangli vitali per le economie nazionali e allo stesso tempo disegni un'economia solidale, complementare con la possibilità, anche da subito, di scambi fuori mercato o di mercato altro non sottoposto alle leggi del profitto. Un processo che sappia far fronte anche alla urgente necessità della sostenibilità socio-ambientale.
L'augurio che vi fate come autori alla fine del libro -ma soprattutto come intellettuali militanti marxisti- è che l'analisi e le proposte teoriche riportate possano servire a chi lotta nei movimenti sociali, nei sindacati conflittuali e indipendenti di classe, nelle organizzazioni comuniste, nell’ambito politico culturale di impostazione marxista. In altri termini, che questo pamphlet/manifesto-politico possa contribuire a una più forte e cosciente costruzione del conflitto sociale a livello transnazionale, in un rinnovato internazionalismo di classe.
L.V Questo che proponiamo è un processo rivoluzionario, un percorso di classe per un'alternativa all'evoluzione intrapresa dal sistema capitalista mondiale, che sta conducendo verso un radicale indebolimento dei meccanismi democratici e di partecipazione sociale.
Se non voltiamo pagina decisamente, non solo la democrazia di base e partecipativa, ma la stessa strutturazione dei principi modernizzatori evolutivi della democrazia borghese continuerà a perdere la propria consistenza, il proprio valore emancipatore, per trasformarsi in cappio sociale senza alternativa, come oggi sta già avvenendo, a causa una crisi del capitale che non ha via di ritorno. L'evoluzione aggressiva e rapace del modello di sviluppo capitalista ci ha condotto in una situazione dove le richieste democratiche appaiono come aspirazioni radicali. Creare nuovi strumenti di conflitto capitale-lavoro comporta il bisogno di una maggiore partecipazione alle istanze democratiche costruite nella lotta , nel conflitto. C'è l'urgenza di una ricomposizione di un blocco sociale ampio e forte, capace di agire in una condizione socio-economica in cui anche le richieste di maggiore democrazia e partecipazione diverranno conflittuali e antisistemiche.
E' il momento di lanciare un'iniziativa politico-economica dal basso, per la realizzazione di un modello produttivo altro basato sulla distribuzione del lavoro, del reddito e dell'accumulazione del capitale, su un'economia del valore d'uso che possa diffondere e distribuire la ricchezza sociale che la classe de lavoratori realizza, che produce.
Solo così si può concretamente realizzare la costruzione e il consolidamento del sistema postcapitalistico avviato alla transizione socialista, che noi abbiamo disegnato. E' cruciale la partecipazione democratica dal basso -ripeto- non solo nella vita politica, ma anche economica e culturale.
Tutto ciò perché siamo fermamente convinti che da questa crisi non se ne esce con irrealizzabili e anacroniste proposte economiche liberiste, o keynesiane di sinistra che fossero. Il capitalismo giunto a questa fase di sviluppo, o meglio di regressione nella crisi sistemica, non ha più possibilità di essere riformato. Dalla crisi del capitale se ne esce con la politica , con una nuova politica rivoluzionaria, che ponga al centro i bisogni del mondo del lavoro, del non lavoro e del lavoro negato . Un percorso con molte tappe tattiche intermedie, lungo ma sempre nella strategia rivoluzionaria di fare e costruire da subito socialismo. Rimane centrale l’ammonimento della grande Rosa Luxemburg “Socialismo o Barbarie !!!". Tutto il resto sono chiacchiere inutili e compatibili al perpetuare di un sistema capitalista capace di distruggere non solo se stesso, ma l’intera umanità …
Nella scrittura cinese l'ideogramma "crisi" è composto da due segni: il primo rappresenta il "pericolo", il secondo si legge come "opportunità". Le riflessioni di Vasapollo, Arriola e Martufi danno gli strumenti per comprendere da dove viene quel grande pericolo che la crisi economica rappresenta per noi e, allo stesso tempo, anche per fare di questa crisi un'opportunità nella costruzione di una società più giusta, di liberi ed uguali.
[1] Luciano Vasapollo (1955), professore di Metodi di Analisi dei Sistemi Economici alla « Sapienza» Università di Roma, Delegato del Rettore per le Relazioni Internazionali con i Paesi dell’ALBA; è anche professore all’Università de La Habana (Cuba) e all’Università «Hermanos Saíz Montes de Oca» di Pinar del Río (Cuba). Direttore del Centro Studi CESTES e delle riviste PROTEO e NUESTRA AMÉRICA. Ha ottenuto nel 2011 la Laurea e dottorato Honoris Causa in Scienze Economiche all’Università di Pinar del Rio (Cuba). E’ “Miembro de honor” del Consiglio Accademico del Centro Studi del Ministero di Economia e Pianificazione della Repubblica di Cuba. È medaglia per la Distincion «Por la Cultura Nacional» assegnata dal Ministero della Cultura della Repubblica di Cuba. «Miembro Distinguido» dell’ANEC (Asociación Nacional de Economistas y Contadores de Cuba). «Miembro pleno del Comité de Honor Científico» di SEPLA (Sociedad Latinoamericana de Economía Política y Pensamiento Crítico). «Miembro honorario Distinguido» de la Sociedad Mexicana de Economia Politica (SMEXEP). Vincitore del Concurso Internacional de Ensayo Pensar a Contracorriente . È autore o coautore di oltre 50 libri, molti dei quali tradotti anche in Europa, Stati Uniti e in America Latina.
[2] L'espressione "Nuestra America" deriva saggio pubblicato da Martì nel 1891, in cui invitava i paesi dell'America Meridionale e dei Caraibi ad unirsi nella realizzazione di una Grande Patria.
[3] Ricercatrice socio-economica, membro del Comitato Scientifico del Centro Studi CESTES e del Comitato di Programmazione Scientifica della rivista PROTEO (rivista quadrimestrale di analisi delle dinamiche economico-produttive e di politiche del lavoro) e della rivista NUESTRA AMERICA (rivista quadrimestrale di analisi socio-politica e culturale sull’America Latina) delle quali è Direttrice Redazionale. E’ membro del Comitato Scientifico e del Direttivo Internazionale del Laboratorio per la Critica Sociale Europeo (LCS).
[4] Con l'entrata della Bolivia, si aggiunge all'acronimo ALBA la sigla TCP. La sigla vuol dire "Tratado de Comercio de los Pueblos", il modello commerciale antagonista ai Trattati di Libero Commercio offerti dagli USA ai paesi del subcontinente, voluto da Evo Morales, a cui si ispirano le relazioni commerciali tra i paesi dell'ALBA.
[5] La "non reciprocità" stabilisce che un paese non debba obbligatoriamente concedere o rendere reciproci negli stessi termini gli accordi che gli sono concessi da altri paesi.
[6] Il "trattamento differenziato solidale" stabilisce che, nella scelta delle misure commerciali che si applicheranno possano essere considerate le condizioni sociali del paese in questione.
[7] Con il "commercio compensato" ci si riferisce alla possibilità concessa ai paesi importatori di pagare una parte del debito contratto con la compensazione in beni e servizi.
[8] Potremmo descrivere la differenza tra il concetto di Solidarietà e di Carità con le parole dell'intellettuale uruguaiano Eduardo Galeano: "A diferencia de la solidaridad, que es horizontal y se ejerce de igual a igual, la caridad se practica de arriba hacia abajo, humilla a quien la recibe y jamás altera ni un poquito las relaciones de poder". Secondo Samora Moisés Machel (primo Presidente del Mozambico indipendente, 1975-1986) "la solidarietà, non è un atto di carità, è un atto di unione tra alleati che combattono per gli stessi obiettivi in terreni differenti".
[9] Nell' ambito produttivo la ricerca dei vantaggi cooperativi consiste nella promozione congiunta da parte degli Stati di alcune imprese finalizzate a sfruttare le risorse materiali e immateriali di un singolo paese. Così i punti di forza dell'economia di un paese vengono valorizzati e, senza limitare lo sviluppo del paese stesso, messi al servizio delle necessità della subregione. Queste imprese considerate strategiche sono appunto le Imprese Gran Nazionali. Il concetto di Gran Nazionale, al momento attuale, non implica la creazione di una struttura sovranazionale, bensì la definizione congiunta di grandi linee di azione politica comune. Le imprese Gran nazionali, rispondono alla necessità di superare i confini nazionali nella pianificazione dello sviluppo produttivo, e di opporsi all'attività delle multinazionali che favoriscono gli interessi dei grandi poteri economici. Queste imprese sono multi statali, ovvero di proprietà degli Stati. A questi è affidata una centralità che consiste nell' attività di pianificazione, a monte garantendo alle imprese l'accesso alle risorse, e a valle nel garantire l'accesso al consumo finale o industriale all'interno del mercato dell'ALBA. Nella fase di produzione e distribuzione, operano anche imprese miste, private e di natura sociale, come le cooperative e le unità di produzione sociale.
[10] Joaquin Arriola insegna Economia politica alla Universidad del Paìs Vasco/EHU a Bilbao. E' membro del comitato scientifico di CESTES PROTEO.
[11] A Novembre del 2013 è uscito per la casa editrice "L'ideAle" un fumetto liberamente tratto dal "Risveglio dei maiali. PIIGS". Nel libro, intitolato "Vita da Pigs", il Collettivo "Briganti Sempre" ha illustrato e raccontato la storia di un giovane comune, che metaforicamente rappresenta i drammi sociali causati dalla cristi sistemica che stiamo attraversando. Dal corso di quest'illuminante storiella fuoriesce anche la necessità di un protagonismo collettivo nelle lotte, che possa proiettarci strategicamente verso la costruzione, anche in Europa ma fuori dall’Unione Europea, di un'area a forte connotato solidale .
Entrevista al Prof. Vasapollo: El ejemplo del ALBA latinoamericana, para poner en marcha la construcción de un área antiimperialista y anticapitalista en el Mediterráneo Por un nuevo modelo de cooperación y desarrollo solidario y complementario
Written by Por Davide Angelilli
En esta sustanciosa e intensa entrevista debatimos con el profesor Luciano Vasapollo[1] a cerca de la “Alianza Bolivariana Para los Pueblos de Nuestra América”: un proceso de integración regional entre países que están trabajando diversas vías para alcanzar el socialismo en América Latina. Cuando, en el 2004, los gobiernos de Cuba y Venezuela dan vida al ALBA identifican y relacionan los problemas del área con los modelos de desarrollo impuestos por el imperialismo, con la actividad económica de las grandes empresas multinacionales y transnacionales y en particular, con las reformas estructurales neoliberales implantadas durante los años del Consenso de Washington. Como veremos en la entrevista, la Alternativa Boivariana no solo rompe con los precedentes modelos de integración regional de corte keynesiano o neoliberal, sino que propone un modelo alternativo de relaciones económicas internacionales anticapitalistas, en las cuales la solidaridad reemplaza a la competitividad y cuyo fin último será promover la socialización de los modelos productivos. Actualmente, forman parte del proceso, a parte de Cuba y Venezuela, Bolivia, Nicaragua, Ecuador, San Vincente de las Granadinas, Antigua y Barbuda y Dominica.
Comenzaremos tratando aquellas que pueden considerarse las raíces históricas y políticas del ALBA. En el año 1989 el crujido por la caída del muro de Berlín, retumbó también en América Latina. Se pasó de un mundo bipolar a uno en el que USA funcionaba como única potencia mundial y la economía del mercado el único modelo a seguir. Muchos países del llamado Tercer Mundo, que se inspiraban en la Unión Soviética como modelo socialista en contraposición al capitalismo, fueron obigados a acogerse al sistema neoliberal, conocido entre todos como globalización. Durante estos años, el gobierno cubano consolida el camino socialista, convirtiéndose, a nivel internacional, en ejemplo y punto de referencia del antiimperialismo y de la resistencia frente al modelo neoliberal. Dentro de la sociedad cubana, además, se abre un proceso planificatorio muy participativo para el perfeccionamiento, actualización y reforzamiento de aquello que podría definirse como socialismo posible. Es en este punto dónde una parcial apertura al mercado eludiando la aceptación de las leyes de ganancia –y por ende, sin renunciar al socialismo- se plantea como necesaria para garantizar la coherente sostenibilidad de la revolución cubana.
¿Puede esta fase de la transición cubana, y sobre todo el debate político que la sustenta, ser considerado el inicio del Socialismo del Siglo XXI, núcleo teórico de la Alianza Bolivariana?
L.V. Si queremos entender hasta el fondo de qué se trata la construcción del ALBA y del Socialismo del –yo más bien diría “por” o “en el”- Siglo XXI, antes de hablar de Cuba, deberíamos analizar la tradición cultural legada por parte de grandes intelectuales dirigentes revolucionarios como Bolívar y Jose Martí[2], de las rebeliones de los indios andinos y bolivianos contra el Imperio Español. Es aquí, en el ya lejano 1800, donde nace la idea de una gran integración latinoamericana como frente común contra el imperialismo de los Estados Unidos. Martí la llamó Nuestra América, hay quien la llamaba la Grande Patria, llegando a aquella que Che Guevara bautizó como la Mayúscula América. Existe además, una gran tradición de intelectuales, dirigentes socialistas y comunistas latinoamericanos, a los que pertenece por ejempo Mariátegui, que hizo del discurso de la independencia y de la autodeterminación el pilar y el sustento de un proceso de integración latinoamericana.
El ALBA, representa la “mezcla”, la unión de estas incandescencias que inflaman los proyectos antiimperialistas en el continente latino. Así llegamos a la revolución Cubana, que es la primera gran expresión de estas ardentías en el Siglo XXI. Nació, de hecho, como una revolución profundamente inspirada en el pensamiento de Jose Martí y fue, avanzando, asumiendo de manera progresiva el marxismo como guía para la construcción de una sociedad mejor, allternativa, libre, justa, entre iguales, en contraposición a la sociedad de la barbarie del capitalismo.
Es fundamental examinar las características de la crisis económica profunda que sumía a esta fase de la revolución cubana en el periodo inmediatamente sucesivo a la implosión del titán soviético. Si consideras, a parte de la razón que has expuesto tú, que se había pensado durante mucho tiempo con una mentalidad socialista eurocéntrica, y que hasta a día de hoy éste ha sido el enfoque de la izquierda europea, en ese sentido se pensó tambien entonces que el modelo soviético sería la única referencia posible para la superación del capitalismo. La revolución bolchevique, con todas sus contradicciones y dificultades, ha tenido sin lugar a dudas el gran mérito de demostrar al mundo que a través de la planificación socialista era posible una aternativa real a la economía del mercado capitalista. La URSS –es cierto- a lo largo de su historia ha cometido errores, y tal vez incluso horrores, en la gestión de su propio contexto. Errores definibles y evaluables únicamente en relación al periodo historico-político al que hacen referencia, porque los procesos políticos en la historia de la humanidad son en ocasiones tan complejos que presentan también grandes contradicciones. Pero resultaría superfluo analizar la experiencia comunista rusa sin considerar que fue el bastión de la resistencia mundial a la barbarie del Nazismo y del Fascismo.
Además, no debemos olvidar que el socialismo es una fase de pasaje, de traspaso a una nueva sociedad, y en este sentido, el primer error de la Unión Soviética fue precisamente aquél de declarar que el proceso de transición se había ya culminado, en una fase en la que, sin duda, todavía no se daban las condiciones del “socialismo realizado”. Otro error cometido por parte de la URSS fue el de perseguir el capitalismo en aspectos relacionados con el desarrollo tecnológico militar y no para fines sociales. Sin embargo, permanece todavía hoy en la herencia del experimento sovietico la fuerte contraposicion al modelo de explotación capitalista, una importante redistribución de la riqueza y una socialización de los medios de producción.
Con el fin de la experiencia socialista soviética, Cuba –que destinaba el 85% de su comercio internacional al CAME- se ve envuelta en una fase económica de profunda crisis conocida bajo el nombre de periodo especial; y es durante esta etapa donde su economía, previamente de alguna escasez, pasa a verse sumida en la pobreza. No obstante a ello, la isla caribeña supo alzar una voz de resistencia contra el capitalismo agresivo, a la cual se le adherirán más tarde los otros países. Era una voz que clamaba, a su vez, por la construcción de un socialismo diverso, porque diversas iban siendo también las condiciones en las que urgentemente tenían que actuar.
Gracias a un importante proceso de modificaciones, de corrección de errores, de perfeccionamientos y de readaptación a las nuevas condiciones nacionales e internacionales, Cuba va avanzando en la actualización de un socialismo dinámico, listo para afrontar nuevos retos. Nuevos, porque se trataba de un socialismo orientado en un diferente contexto histórico, económico y político. De esta forma, la revolución cubana consiguió hacer frente a la crisis de la economía nacional y, al mismo tiempo, se convirtió en un faro para todos aquellos países que, en este periodo caracterizado por la más desaforada liberalización de los mercados, sufrían la rapacería del capital internacional. Así pues, es muy posible, que no hubiera habido Alianza Bolivariana alguna si Cuba durante aquellos difíciles años no habría resistido.
Pasemos a la historia del ALBA y a los primeros pasos dados por esta alianza política antiimperialista en el campo de la cooperación internacional. No se puede obviar del análisis ese intercambio de bienes y servicios (el llamado medicos por petróleo) entre Cuba y Venezuela, pero tampoco podemos referirnos a ello como una sencilla transacción de trueque, como demasiado simplistamente viene a menudo etiquetada.
Central es la cuestión relativa a los precios de los bienes comerciados: el valor de los bienes transados no se identifica directamente con su cotización mercantil nacional o internacional, sino que en relación a esta, se le atribuye un precio preferencial que es considerado “justo”.
Tomando como punto de partida la cuestión del valor de las mercancías intercambiadas, ¿cuál diría usted que es la relación entre estos primeros pasos de la cooperación internacional en el ALBA y el pensamiento tercermundista de Amin? ¿Podríamos hacer referencia, en particular, a la teoría Delinking de Amín, según la cual el comercio internacional, con el objeto de favorecer el desarrollo de los países más atrasados, debería fundamentarse en una ley de valores de base nacional y relevancia popular, y no en la ley de valores del capitalismo mundial?
L.V. Continuemos con aquello de lo que hablabamos antes, también con el fin de explicar los primeros pasos del ALBA y situémosla en la dimensión histórica del contexto en el cual asume pleno significado el proceso. Paralelamente a la resistencia de Cuba, en Venezuela la pobación se rebeló a un gobierno nominalmente no fascista, pero de corte socialdemócrata latinoamericana, estrictamente ligado a los intereses estadounidenses. Desde hace alguna decada Rita Martufi[3] y yo, efectuamos largos viajes de carácter político y cultural a varios países de América Latina y nos encontrabamos precisamente en Caracas en el 1989, cuando la rabia del pueblo explota en una enorme protesta contro los planes de reforma neoliberal que habían depauperado el país. Una revuelta por el pan, por los alimentos de primera necesidad, pasada a la historia como “El Caracazo”. Precisamente en aquella ocasión irrumpió en la escena política la figura de un coronel: Hugo Chavez: un militar democrático y progresista que apelándose al pensamiento y al ejemplo del patriota Simón Bolívar, se negó a disparar a los manifestantes, a su propio pueblo.
En el 1992 Chávez y su frente pretendieron llevar a cabo una rebelión civil millitar con el objetivo de instaurar un proceso democrático que evitase los dictados del imperialismo. El tentativo falló, dejándo como resultado a Chávez entre rejas, donde no obstante, terminó de profundizar sus estudios sobre movimientos y teorías revolucionarias y sobre el marxismo. Al mismo tiempo que junto, al que más adelante será el histórico Ministro de Planificación Económica de su gobierno Jorge Giordani, reanudará de manera más sistemática sus estudios sobre Gramsci.
Permíteme subrayar que el pensamiento de Gramsci está vivo en America Latina, mucho más que en Europa, dónde el comunista italiano ha estado a menudo maltratado por la mayoría de las organizaciones y de partidos tradicionales del movimiento obrero.
Recuperando el hilo de nuestro discurso, Chávez venció por primera vez las elecciones en el 1998. Con su victoria, dió inicio a un proceso democrático participativo, antiimperialista que al inicio no estaba fuertemente caracterizado por una orientacion político socialista, sino que más bien se centraba en la herencia del pensamiento Bolivariano y se fundamentaba en una importante redistribución de los ingresos petroleros. El hecho de haber aminorado beneficios a las multinacionales, le permitió ponerlas a disposición del desarrollo nacional equilibrado, socialmente sostenible, centrado en las inversiones de carácter social y ante todo, centrado en la lucha contra la pobreza y al anafabetismo.
Chávez comenzó, con los años, a mirar con cada vez mayor simpatía y afinidad al socialismo cubano; entre él y Fidel nació un importante vínculo de profunda amistad, de reciproco aprecio, de comunión de aspiraciones revolucionarias antiimperialistas y anticapitalistas, que llevaron en el 2004 al nacimiento de la Alternativa Bolivariana. La idea del ALBA era estrechamente chavista y centrada en un principio fundamental: el intercambio solidario y complementario de bienes, ajeno y en contra de las leyes de ganancia, y, por tanto, de la explotación. Es decir, se trata de un modelo de relaciones económicas que se rige, no en base a las leyes de ganancia del mercado internacional dictadas desde la teoria de las ventajas comparativas, sino que sobre la obtención del mayor bienestar posible para el pueblo. Decidieron hacer uso de la complementariedad y la solidaridad de las ventajas cooperativas, poniendo a disposición los puntos de fuerza de cada país y así, fomentando un desarrollo común e integrado, capaz de combatir contra cada injerencia imperialista.
Obviamente, debemos tener en cuenta las condiciones objetivas en las que floreció el ALBA: Venezuela es un país de firme connotación extractiva que se administra, sobre todo, a raíz de las ganancias de la exportación petrolifera. Por otro lado, Cuba es un país de pocos recursos –excepto por las grandísimas cantidades de azucar, café y níquel- pero que durante los años de gobierno revolucionario socialista ha acrecentado un importantísimo valor en la formación de talento humano, especialmente, en el campo de la salud, de la educación, del deporte y de la investigación.
El intercambio solidario y complementario surgió de manera espontánea: Cuba puso a disposición prestaciones de servicios y asistencia técnica para mejorar las desastrosas situaciones en la Sanidad y en la instrucción venezolana, consecuencia del colonialismo y de gobiernos a servicio del imperialismo de USA; Venezuela, por su parte, contrarrestó con petróleo a precios altamente preferenciales. Este primer experimento logró que Cuba pudiera salir de la dificultad del “periodo especial” y que la ONU, pocos años después, declarara Venezuela país libre de analfabetismo. En todos los barrios de Caracas los niños y niñas comenzaron, por primera vez, a acudir de manera estable a la escuela, y a su vez, empezaron a verse centros sanitarios permanentes de médicos cubanos que otorgaron asistencia a comunidades tradicionalmente excluidas.
Durante estos años, la Alternativa se transformó en Alianza Bolivariana para los pueblos de Nuestra America, gracias a la participación de otros países: primeramente por la Bolivia de Morales[4] –primer presidente indigena de la historia-, seguida por el Ecuador de Correa y de la Nicaragua sandinista de Daniel Ortega.
Así, llegamos a la cuestión a la que haces referencia directamente en tu pregunta: a efectos concretos e inmediatamente visibles en los grandes resultados sociales, el eje de la cooperación que se desarrolla en el esquema del ALBA se explicaría basicamente por la transición de la teoría de ventajas comparativas, que guía el mercado capitalista internacional, a la de ventajas cooperativas que, al contrario, se basan en la complentariedad y solidaridad entre los pueblos.
Tienes razón cuando afirmas que con el fin de restar importancia a esta nueva teoría y práctica de la cooperación complementaria y del desarrollo compatible con lo socio-ambiental, la han a menudo etiquetado como un regreso al trueque. En realidad, es una fase fundamental, porque en un proceso de transición al socialismo –de esto es de lo que estamos hablando- se realiza en la práctica una inversión primordial, tras la cual un área ratifica un acuerdo con el que se crea un espacio de desarrollo compartido que convive con el propio mercado, pero no con la ley de la ganancia capitalista. Un socialismo diríamos con mercado, pero no de mercado. Una área en la cual lo importante, no es la ley de valores en los términos de relaciones capitalistas de explotación, sino que la consolidación de valores a través de una nueva modalidad de relaciones económicas entre estados orientada a la redistribución de la renta; a la creación de espacios fuera del mercado y de empresas de naturaleza social, que conviviendo incluso con la propiedad privada, gestan las bases con el objetivo de alcanzar un proceso de socializacion de los medios de producción.
Sobre la cuestión de los precios y de la analogía con el concepto de desconexión de Amin: yo creo que el ALBA no va etiquetada con formulas específicas, sobre todo, porque en ella conviven vías, caminos y procesos por venir, que son diferentes entre ellos, pero que comparten un mismo fin: el socialismo. Por darte un ejemplo, con el objetivo de elaborar un “modelo ALBA”, en cuanto área económica anticapitalista y caracterizada por la planificación socialista, todavía antes que de Amin, podríamos hablar de el CAME. Donde, sin embargo, el ejemplo para los países que se le adherían era exclusivamente el modelo soviético. Al contrario, todos los que conocen un poco el proceso de transición socialista latinoamericano notan la sustancial diferencia que existe entre el socialismo de Cuba y, por ejemplo, la revolución ciudadana en Ecuador, el socialismo bolivariano de Venezuela o el socialismo comunitario en Bolivia. Por otro lado, cuando Samir Amin o Hosea Jaffe proponía el “Delinking”, lo hacían en un momento en el cual, excepto la URSS, no existían realidades políticas anticapitalistas. Urgía, por lo tanto, una desconexión con el objetivo de frenar los daños de la supuesta –según su análisis- extorsión del surplus por la clase obrera del norte a la clase obrera del sur; y había la necesidad de hacerlo a través de una disociación de la hacienda del mundo capitalista.
El ALBA, al contrario, es un proyecto estrechamento político, más incluso que económico: es una alianza para la transición al socialismo, que no se centra simplemente en el objetivo de un mercado alternativo más justo e igualitario, sino que ha como finalidad la construcción de un frente político antiimperialista y anticapitalista. Venezuela, presenta todavía hoy un vínculo con la economía norteamericana, y es justo subrayarlo porque resulta crucial tener presente que estamos hablando de un proceso de transformación en curso. En una fase de transición socialista, la nueva sociedad convive con leyes monetarias, mercantiles, la misma ley de valores... y por ende, con los paradigmas de mercado. Ésta debe poco a poco desprenderse en función de las relaciones de fuerza que se vienen determinando como consecuencia de la todavía vigente lucha de clases. Para entenderlo basta con leer “La crítica al programa de Gotha” de Marx, en el que, mejor que en cualquier otra obra, el filósofo alemán explica estos conceptos, trayectos, pasajes y etapas intermedias de los procesos reales de transformación.
El punto fundamental, sin embargo, es siempre la estrategia, el horizonte último en el cual se inspira y se orienta el accionar político y económico.
En la estructuración de la teoría de las ventajas cooperativas es central la complementariedad solidaria, ya individuada como factor crucial para la obtención del desarrollo por Prebisch en los años 60. La complementariedad por parte de la CEPAL, sin embargo, era promovida con el fin de un crecimiento de los mercados nacionales y no orientada, como en el ALBA, a un desarrollo equilibrado regional.
¿Podría decirse entonces, que el aspecto más revolucionario del ALBA en el debate teórico sobre la integración regional –y el que la diferencia de las dos grandes generaciones de regionalismo latinoamericano (la promovida por la CEPAL en los años 60 y la de corte neoliberal de los años 90)- sea representada por los otros principios que acompañan a la complementariedad? Me refiero, en concreto, al principio de la “no reciprocidad”[5], del “tratamiento diferencial solidario”[6] y del “comercio compensando[7]”.
L.V. Si, comparto y añado que no me maravilla el hecho de que el ALBA se aleje de la concepción “cepalina” de la integración regional. La filosofía de la CEPAL tenía una connotación keynesiana con matices intensamente desarrollistas y cuantitativos. El ALBA, al contrario, propone un modelo de desarrollo cualitativo y de producción alternativo; ciertamente, diferente al modelo soviético, pero no por ello no-definible como socialista.
Los criterios que tu has subrayado son fundamentales, porque todos juntos, formando la teoría de ventajas cooperativas o complementarias, representan la ruptura no solo con las experiencias antecedentes latinoamericanas, sino que también con una concepción capitalista de desarrollo. La “no reciprocidad” se presenta como un claro ejemplo: al determinar el intercambio entre países no se valora ya lo que pueda aportar el libre comercio a un único país, sino que ponen a disposición de un área económica solidaria, regida sobre principios comunes, los puntos de fuerza de la economía nacional, por encima de lo que se obtiene a cambio y en función de una redistribución de la riqueza social.
No podemos explicar el intercambio “médicos por petróleo” si no comprendemos las condiciones antes expuestas. Los médicos ofrecidos por Cuba valen mucho más que el petroléo con el que Venezuela contrarresta la asistencia técnica y social recibida, pero el intercambio no se fundamenta respetando los dictámenes del mercado capitalista. La grandeza, no económica, pero sí política y moral de los dos países ha sido decisiva a la hora de determinar la realización del intercambio. Si deberíamos basarnos en los parámetros cuantitativos capitalistas, formar un médico o un profesor cubano no sabemos a cuánto petróleo venezolano equivaldría –probablemente se llegaría a deducir que el intercambio es ventajoso para Cuba- pero, precisamente, no es la reciprocidad lo que se busca en las relaciones al interno del esquema bolivariano, sino que el arrasamiento de las desigualdades.
Para entender esto es necesario tener claro en la mente que el socialismo del siglo XXI en América Latina es la combinación entre la filosofia andina de los pueblos originarios del Buen Vivir y el marxismo, la cual se expresa cuidadosamente en los escritos de Álvaro García Linera- Vice presidente boliviano.
En este encuentro dialéctico, los parametros, incluso los cuantitativos, se encuentran y se modelan no de cara al bienestar, al vivir mejor con las desigualdades, sino que al Vivir Bien y a su concepción multidimensional y cualitativa del desarrollo. El resultado es un socialismo comunitario, en algún punto ancestral –que parte de las grandes tradiciones maya y aztecas-. Un socialismo fundado sobre la cooperación entre pueblos y sobre la solidaridad, pero no en términos caritativos[8], sino que en relaciones horizontales entre Estados orientadas a un desarrollo equilibrado.
El gran desafío sea, tal vez, orientar la cooperación internacional entre los países a la emancipación de las clases explotadas. En el ALBA es importante la participación de la comunidad organizada, pasando no sólo de una concepción “mercadocéntrica” a una “estadocéntrica”, sino que más bien asumiendo una visión “sociocéntrica”. La “garantía” de que los recursos puestos a disposición sean encauzadas al beneficio de las comunidades con una deuda social más alta podría ser dada, precisamente, de la inclusión y de la propia organización de estas.
La pregunta es: ¿cómo toma forma este pasaje en la esfera netamente económica del proceso?
L.V. Al inicio, en las aproximaciones a los diferentes sistemas de planificación socialista del ALBA, allí donde se esta aplicando concretamente, he encontrado, curiosamente, dificultades a la hora de llevar a cabo el análisis valutativo, ya sea en términos cualitativos que en los mismos resultados cuantitativos; porque los datos a menudo no respondían a las diferentes realidades economico-productivas, ni los esquemas teóricos a la implementecion factual práctica. En la teoría y en la praxis del socialismo, la planificación ha sido siempre considerada una actividad económica fuertemente centralizada. En el ALBA, y significativa y particularmente en Cuba –a día de hoy la mayor experiencia de socialismo posible y realizado- se ha puesto en marcha una experimentación de convivencia entre planificación centralizada y descentralizada.
¿Por qué este hecho se enlaza con tu reflexión sobre el rol de las comunidades? Bien... hay un plan central que establece los objetivos y los recursos a poner a disposición, la propia distribución de estas... pero después son las comunidades locales las que deben determinar cuales son las posibilidades concretas para el desarrollo local. Esto es crucial a la hora de maximizar la eficacia y la eficiencia de los recursos a disposición y es una novedad teórica y práctica en el socialismo. Un ejemplo son las Sedes Universitarias Municipales en Cuba, dónde la preparación académica ofrecida a los estudiantes debe ser dirigida a las potencialidades productivas del territorio. La estructuración económica productiva de Pinar del Rio, por ejemplo, es diferente a la de Santiago, por tanto también la formación de la profesionalidad debe ser diferente, porque está encaminada a maximizar la capacidad productiva. Esta es una novedad absoluta en la historia del socialismo.
Hemos hablado de la racionalidad social de la cooperación entre los países del ALBA. Para la construcción del Socialismo del –o cómo prefiere usted por o en el- siglo XXI, será naturalmente crucial la racionalidad social conjugada a la económica en el modelo productivo de las singulares economías nacionales. Analizando la Alianza Bolivariana podemos entrar en la esfera productiva tratando la cuestión de las empresas “Grannacionales”[9]. ¿Cuál es el estado real de avance en esta nueva empresa “multiestatal”?
L.V. Las empresas Grannacionales, son un proyecto importantísimo, pero todavía en construcción. Queda aún mucho trabajo por delante, al igual que en el plano de la diversificación productiva, en la construcción de los distritos socialistas y en la experimentación de otras empresas de naturaleza pública y social –sobre todo en estructura cooperativa-.
Es cierto, que el hecho de convivir con la economía de mercado, en esta que será una larga fase de transición, conlleva unas ventajes pero, a su vez, una serie de dificultades. Pongamos un ejemplo al respecto: durante la transición, obviamente, continúa y a menudo, se exacerba el conflicto de clases; en la actualidad la revolución bolivariana está bajo ataque imperialista, con motivo de la guerra económica y especulativa que ha desencadenado y está desencadenando la oposición venezolana y que ha provocado una fuerte inflación especulativa. Extrayendo del mercado nacional los bienes producidos en Venezuela y mandandolos a Colombia, para después hacerlos reimportar “dolarizados” a Venezuela, se provocan efectos económicos desestabilizantes, debido, precisamente, a la consiguiente creación de un importante mercado negro del dolar y a la altísima inflación de precios de productos. El descontento suscitado de semejante guerra económica entre la población, además, dificulta el avance del proceso socialista en ciertos campos que son cruciales, como por ejemplo el campo productivo. El ejemplo sirve para entender que el alcance del objetivo final, o sea, la socialización de los medios de producción, requiere una duración larga e incierta. No únicamente a causa de los obstáculos económicos, sino que también debido a problemáticas de naturaleza diferente, como la dinámica de las relaciones de fuerza determinadas por una dura fase de lucha de clases en la cual la oposición oligarquica es el instrumento de intervención por parte del imperialismo.
No podemos hacer previsiones seguras a cerca de esto: en las fases de transición al socialismo persiste la lucha de clases, a menudo con conflictos duros y abiertos. El resultado, como la duración del proceso, su consolidación revolucionaria en fase avanzada y en clave socialista de la transición, dependen en buena parte de la capacidad de llevarla adelante en manera rigurosa, atenta, desarrollando tácticas inteligentes, siempre en función de la estrategia socialista y de las fuerzas reales de las subjetividades revolucionarias. Maduro en estos últimos meses ha actuado bien y, con la inclusión de las estructuras de poder popular, ha reaccionado en términos de poder de clase, poniendo atención no solo en la consolidación de las estructuras de empresas estatales, sociales, nacionalizadas o grannacionales, sino que trabajando con el fin de que aumentase el poder popular en el control de la producción y de la distribución. La victoria del PSUV en las últimas elecciones municipales del 8 de Diciembre, es fruto de este inteligente y articulado sendero, en su día tomado, que se ha revelado vencedor.
Y, ¿cómo de importante será para el frente antiimperialista, a parte de la lucha por el control popular, la lucha por la hegemonía cultural? Me refiero, en términos gramscianos, a la capacidad de las alianzas socialistas gobernantes de imponer una conciencia anticapitalista a nivel regional.
L.V. La cuestión de la hegemonía cultural es, y será, durante los próximos años de primaria importancia para la consolidación de los procesos revolucionarios de los países del ALBA. Continuando con el ejemplo de Venezuela, considero crucial el reforzamiento ideológico del Partido Socialista Unido de Venezuela y su transformación en un partido revolucionario “hasta el fondo”; es decir, con capacidad de exprimir dirigentes y un cuerpo militante preparado para afrontar las dinámicas, en ocasiones imprevistas y contradictorias del proceso revolucionario, dirigiéndolo cada vez más a un contexto de firme e irreversible caracterización socialista. Esto se traduce en formación y batalla cultural. Pero, existe otro concepto que tú, refiriéndote a Gramsci sacas: la cuestión del bloque histórico, que no el bloque social. El bloque social es un fronte de intereses entre sujetos de clase con necesidades e intereses socio-políticos similares; en cambio, el bloque histórico es la posibilidad de las alianzas de contexto para la consolidación de la transición en el proceso revolucionario.
Es en estos ámbitos donde se van calibrando experiencias en otras partes del mundo que se inspiran en el proceso boivariano y, en general, en las propuestas y modalidades de los trayectos políticos y socio-económicos del ALBA. Como nuestra propuesta de construir un área euro-afro mediterránea con la participación de los movimientos socialistas, el sindicalismo de base y los comités de defensa de los bienes comunes.
Una alianza internacionalista entre movimientos sociales, obreros y del mundo del trabajo y del trabajo negado, que sea en grado de romper con la Unión Europea, saca al mismo tiempo la cuestión del bloque histórico. ¿Cuáles son las alianzas a llevar a cabo? Miremos hacia Italia: la precariedad, los inmigrantes, la clase obrera -entendida en sentido amplio como clase trabajora- son, sin lugar a dudas, los componentes sociales que más sufren la crisis económica. Pero, al mismo tiempo existe también una parte consistente de pequeña burguesía, de pequeños emprendedores, trabajadores autónomos de segunda y tercera generación, que sale triturada de la construcción del polo imperialista europeo, proyecto de la potente burguesía central del Viejo Continente. A la luz de todo esto, podemos afirmar que el desafío si que es económico, pero la cuestión de la hegemonía cultural, con todo aquello que abraza y comporta, es a día de hoy de primaria importancia política.
Luciano Vasapollo ha expuesto su propuesta para afrontar la crísis siestemática del capitalismo en un planfeto escrito con J. Arriola[10]y Rita Martufi “El despertar de los cerdos - PIIGS”. Editado por la Jaca Book en el 2011 y actualizada en el 2012, se ha convertido en un manifiesto político traducido al griego, al castellano y al portugués[11]. El libro presenta una cuidadosa descripción de una estrategia política para la periferia europea -en concreto para los PIIGS-, de ruptura con la Unión Europea y de construcción de un modelo alternativo de desarrollo compartido.
Profesor Vasapollo, ¿cuáles es vuestra tésis y vuestra propuesta para la elaboración de un proceso político en la periferia europea, que pueda consentir a las clases trabajadoras la emancipación de las condiciones de extrema explotacion en las que actualmente se versa?
L.V. El nuestro es un manifiesto propuesta que desde hace ya casi tres años está mediando en varios países europeos el debate y la iniciativa política de muchos movimientos sociales, de sindicatos conflictuales –como la USB en Italia-, de organizaciones políticas comunistas y anticapitalistas –como la Red de Comunistas- y de algunos centros sociales. Un debate sobre la ruptura con la Eurozona, contra la construcción y la consolidación del Europolo Imperialista. Abarca varios planteamientos, desde la ampliación de espacios participativos de decision democrática, no sólo en ámbito político, pasando por una mejora social conseguida a través de la redistribución de la riqueza. Hasta llegar a una necesaria planificación socio-económica, que permita un uso racional de los recursos naturales, pero también un nuevo uso de las innovaciones tecnológicas, orientadas al bienestar del pueblo y no al enriquecimiento de las élites. Nuestro análisis va más allá de la simple salida del Euro, propone además una serie de medidas de política económica a corto y medio plazo (como la reducción del horario de trabajo sin que ello implique disminución salarial y eliminando cualquier forma de precariedad, garantizando la renta social a los desocupados y el derecho a habitar con planes de edificación popular, invirtiendo en lo social y eliminando el despilfarro en obras inútiles como el TAV, recuperando recursos a partir del impago de la deuda y de la tasación de los capitales o desde una seria lucha contra la evasión fiscal). Políticas sociales que pueden hacer que este proyecto sea factible, con campañas de lucha por una nueva acumulación de fuerzas de los movimientos de trabajo y de los trabajos negados, y a través de un fuerte protagonismo de las clases de abajo.
La convicción de fondo, de hecho, es que abandonar el euro si que es necesario, pero que para hacerlo tenemos la necesidad –toda política- de una alternativa radical de sistema, recorrible y realizable con programas tácticos, pero siempre con el horizonte estratégico de la transición al socialismo.
Una alternativa antisistema y de sistema social alternativo, porque afronta los recorridos de tentar las formas de hacer socialismo, que puede concretizarse, en primer lugar mediante la consulta a los países de la periferia mediterranea y, en segundo lugar, mediante un proceso político y económico sostenido por cuatro elementos/momentos, sin los cuales tal proceso podría resultar un desastre. En primer lugar, la determinación de una nueva moneda común, libre (LIBERA) de los vínculos comunitarios impuestos a la moneda Euro. Después, la reformulación de la deuda de la nueva Área Libre para el Intercambio Alternativo Solidario (ALIAS). Además, el rechazo y cancelación, al menos de una parte, de la deuda, empezando por la contraída con bancas y entidades financieras. Por último, la necesaria nacionalización de las bancas, acompañada de una estrecha regulación de la salida de capitales del Área y la también nacionalización de las empresas de los sectores estratégicos de la economía (transportes, energía, telecomunicaciones), reforzando el conjunto de bienes colectivos a total gratuidad y propiedad pública, como escuela, sanidad, universidad, pensiones, viviendas para quién tenga mayor dificultades económicas, formación, saber, etc.
¿Porqué vuestra voz choca y se distancia de las propuestas de reforma interna de la Unión Europea llevadas adelante por algunos sectores de la izquierda?, ¿No veis cómo factible un proceso reformista en Europa?, ¿Y qué relación diría que existe entre vuestra propuesta y el deterioro de la democracia que estamos viviendo en nuestros países?
L.V. En un contexto histórico y económico como el actual, la verdadera utopía es creer en la posibilidad de resolver el problema de la pobreza y de la exclusión mediante la reforma del sistema capitalista. Todas las propuestas de regeneración del capitalismo –por ejemplo a través de un nuevo contrato social- representan solamente el proyecto de las clases medio-altas contra los intereses de la clase trabajadora -entendida en sentido amplio y que, por tanto, comprende también a los desocupados-, las miles formas de precariedad laboral y social, etc.
Estos sectores de la burguesía se mueven para recortar pensiones y derechos, recortan vida al nuevo bloque social proletario, y aspiran a la supervivencia de un capitalismo en grado de garantizar mayor extorsion de ganancias y rentas. O en el caso de otros sectores menos altos de la burguesía, a una mejora del nivel de consumo, excluyendo las más ínfimas formas de protección social universalista. Sus propuestas, de hecho, no aportan absolutamente nada para integrar a las masas explotadas o para eliminar el drama social de la desocupación, al contrario, lo empeoran con el clásico “mors tua vita mia”.
Es una realidad que se repite, cuando en el curso de la historia se ha conseguido poner límites a la explotación –aunque haya sido sólo con la mejora de las partes de clase media alta- se ha podido hacer únicamente, a base de la contratación y el empeoramiento de las clases subordinadas proletarias y en áreas muy limitadas del sistema, alimentando al mismo tiempo el sistema imperialista y los daños a otras periferias mundiales, donde se generaba una mayor explotación, capaz de compensar la reducción de las ganancias en el centro del sistema. Además, en esta ocasión, han entrado en juego las principales potencias europeas, bancos, financieras, multinacionales, poderes fuertes. La burguesía central europea actúa para reforzar el Europolo imperialista y el área del euro en la competición global con el imperialismo estadounidense, para rivalizar, no sólo comercialmente, sino que incluso en el ámbito monetario con el dólar.
Nuestra propuesta, en cambio, es una alianza entre países que se doten de un trayecto autodeterminado de democracia participativa, con espacios productivos y comerciales anticapitalistas, con modalidad de desarrollo autodetermiado que sustente también lo medioambiental, capaz de evitar y derrotar las despiadadas lógicas capitalistas, rompiendo la subordinación y la aceptación de los dictados neoliberales y antisociales de la troika, el BCE, el FMI y la Comisión de la Unión Europea.
Al inspirarnos en el ALBA latinoamericana, no decimos que tal modelo se pueda exportar, sino que nos referimos a las condiciones favorables que aportaría para emprender el proceso al que aspiramos, de construcción de un área de intercambio solidario, complementario, que tenga las piernas fuertes para recorrer trayectos hacia la transición socialista.
Debemos fijarnos en aquellos países que tienen características en común; complementarias, incluso, en sentido productivo, a la Europa mediterránea, al Este de Europa y al África mediterránea, y comprender que la única respuesta a la crisis de las clases explotadas es precisamente una alternativa política de sistema. Una alternativa completamente política que se oponga a la pérdida de la soberanía popular autodeterminada y a los mecanismos de lento pero inexorable estrangulamiento impuesto por los bancos y por los poderes económicos de una nueva y potente burguesía central europea de mando alemán. Una travesía revolucionaria que sepa imponer con las luchas, con el objetivo del poder político de alternativa al sistema, la nacionalización de los puntos vitales para la economía nacional y al mismo tiempo que sea solidaria, complementaria con la posibilidad, también inmediata, de intercambios ajenos al mercado o de mercado alternativo no sujeto a las leyes de ganancia. Un proceso que sepa hacer frente incluso a la urgente necesidad de la sostenibilidad socio-ambiental.
Vuestro deseo como autores del libro –pero sobre todo como militantes intelectuales marxistas- es qué el análisis y las propuestas teóricas expuestas puedan servir a quien lucha en los movimientos sociales, en los sindicatos conflictuales e independientes de clase, en las organizaciones políticas, en el ámbito político cultural de corte marxista. Es decir, que éste panfleto/manifiesto político pueda contribuir a una más fuerte y consciente construcción del conflicto social a nivel transnacional, en un renovado internacionalismo de clase.
L.V. Lo que proponemos es un proceso revolucionario, un trayecto de clase para una alternativa a la evolución emprendida por el sistema capitalista mundial, que está conduciendo hacia un radical debilitamiento de los mecanismos democráticos y de participación social.
Si no pasamos de página decisivamente, no sólo la democracia participativa y de base, sino que la misma estructuración de los principios modernizadores evolutivos de la democracia burguesa continuará perdiendo su propia consistencia, su valor emancipador, para transformarse en un bucle social sin alternativa, como actualmente está ya sucediendo, a causa de una crisis del capital que no tiene marcha atrás. La evolución agresiva y rapaz del modelo de desarrollo capitalista nos ha conducido a una situación en la que las demandas democráticas aparecen como aspiraciones radicales. Crear nuevos instrumentos de conflicto capital-trabajo implica la necesidad de una mayor participación en las instancias democráticas construidas en la lucha, en el conflicto. Existe la urgencia de una recomposición de un bloque social amplio y fuerte, capaz de actuar en unas condiciones socio-económicas, en las cuales incluso las demandas de mayor democracia y participación se entenderán como conflictuales o antisistema.
Es el momento de poner en marcha una iniciativa político-económica desde abajo, para la construcción de un modelo productivo alternativo basado en la distribución del trabajo, de los ingresos y de la acumulación de capital. Y construirlo sobre una economía del valor de uso que pueda difundir y distribuir la riqueza social que la clase obrera realiza, que produce.
Solo así se puede llevar a cabo la construcción y la consolidación del sistema postcapitalista, iniciado en la transición socialista que nosotros hemos diseñado. Es crucial la participación democrática desde abajo –repito- no sólo en la vida política, sino que incluso en la económica y cultural.
Todo esto porque estamos firmemente convencidos que de esta crisis no se sale con irrealizables y anacrónicas propuesta económicas liberales, o keynesianas, por izquierdistas que puedan ser. El capitalismo junto a esta fase de desarrollo, o mejor dicho de regresión en la crisis sistemática, no tiene posibilidad alguna de ser reformada. De la crisis del capital se sale con política, con una nueva política revolucionara, que sitúe en el centro las necesidades del mundo del trabajo, del no-trabajo o del trabajo negado. Un trayecto con muchas etapas tácticas intermedias, largo pero siempre con la mira revolucionaria de hacer y construir el socialismo desde ahora. Permanece central la advertencia de la gran Rosa Luxemburgo “¡Socialismo o barbarie!”. Todo el resto son charlas inútiles y compatibles con la perpetuación de un sistema capitalista capaz de destruirse no sólo a sí mismo, sino que a la entera humanidad…
La escritura china del ideograma “crisis” está compuesto por dos signos: el primero representa el “peligro”, el segundo significa “oportunidad”. Las reflexiones de Vasapollo, Arriola y Martufi ofrecen las claves para comprender desde dónde viene ese gran peligro que la crisis representa para nosotros y, al mismo tiempo, sirven de instrumento para hacer de esta crisis una oportunidad para la construcción de una sociedad más justa, de libres e iguales.
[1] Luciano Vasapollo (1955), profesor de Metodos de Análisis de los Sistemas Económicos en la Universidad de Roma La Sapienza, Delegado del Rectorado para las Relaciones Internacionales con los Países del ALBA, es también profesor en la Universidad de La Habana (Cuba) y en la Universidad Hermanos Saíz Montes de Oca en Pinar del Río (Cuba). Director del Centro de Estudios CESTES y de las revistas PROTEO y NUESTRA AMÉRICA, obtuvo en el año 2011 el diploma y doctorado Honoris Causa en Ciencias Económicas otorgado por la Universidad Pinar del Río (Cuba). Así mismo es Miembro de honor del Consejo Académico del Centro de Estudios de Ministerio de Economía y Planificación de la República de Cuba y le fue asignada la Medalla de la Distinción Por la Cultura Nacional de la mano del Ministerio de Cultura del mismo país. Miembro distinguido del ANEC (Asociación Nacional de Economistas y Contadores de Cuba). Miembro pleno del Comité de Honor Científico de la SEPLA (Sociedad Latinoamericana de Economía Política y Pensamiento Crítico). Y Miembro Honorario Distinguido de la Sociedad Mexicana de Economía Política (SMEXEP). Vencedor del Concurso Internaciona de Ensayo Pensar a Contracorriente. Por último es autor o coautor de más de 50 libros, muchos de los cuales han sido traducidos a diversas lenguas en Europa, Estados Unidos y en América Latina.
[2] La expresión “Nuestra América” deriva de un ensayo pubicado por Martí en el 1891, en el cual invitaba a los países de la America Meridional y del Caribe a unirse para la realización de una Gran Patria.
[3] Investigadora socio-economica, miembro del Comité Científico del Centro de Estudios CESTES y del Comité de Programación Científica de la revista PROTEO (revista cuatrimestral de análisis de las dinámicas económico-productivas y de políticas de trabajo) y de la revista NUESTRA AMÉRICA (revista cuatrimestral de análisis socio-político y cultural sobre América Latina) de las cuales es Redactora Jefe. Es miembro del Comité Científico y del Directivo Internacional del Laboratorio por la Critica Social Europea (LCS).
[4] Con la entrada de Bolivia, se añadirá al acrónimo ALBA la sigla TCP –Tratado de Comercio de los Pueblos-, a requerimiento de Evo Morales. El modelo comercial será antagonista a los Tratados de Libre Comercio ofrecidos por los Estados Unidos a los países del subcontinente, y será en el que se inspiren las reciones comerciales entre países del ALBA.
[5] La “no reciprocidad” establece que un país no tiene obligatoriamente que conceder o devolver en los mismos términos los acuerdos que le han sido concedidos por otros países.
[6] El “Tratamiento diferencial solidario” establece que, en la elección de las medidas comerciales que se aplicaran puedan ser consideradas las condiciones sociales de cada país en cuestión.
[7] Con el “comercio compensado” se hace referencia a la posibilidad concedida a países importadores de pagar una parte de la deuda asumida con la compensación de bienes y servicios.
[8] Podríamos describir la diferencia entre el concepto de Solidaridad y de Cáridad con las palabras del intelectual uruguayo Eduardo Galeano: “A diferencia de la solidaridad, que es horizontal y se ejerce de igual a igual, la caridad se practica de arriba hacia abajo, humila a quién la recibe y jamás altera ni un poquito las relaciones de poder”. Según Samora Moisés Machel (primer Presidente del Mozambique independiente 1975-19869 “la solidaridad, no es un acto de caridad, es un acto de unión entre aliados que combaten por los mismos objetivos en terrenos diferenciados”.
[9] En el ámbito productivo la búsqueda de ventajas cooperativas consiste en la promoción conjunta por parte de los Estados de algunas empresas orientadas a explotar los recursos materiales e inmateriales de un país. Así, los puntos de fuerza de la economía de un país vienen valorizados y, sin limitar el desarrollo del país mismo, puestos al servicio de la necesidad de la subregión. Estas empresas consideradas estratégicas son, precisamente, las empresas Grannacionales. El concepto Grannacionales, a día de hoy, no implica la creación de una estructura sopranacional, sino que la definición conjunta de grandes líneas de acción política común. Las empresas Grannacionales, responden a la necesidad de superar las fronteras nacionales en la planificación del desarrollo productivo, y a su vez, de oponerse a la actividad de las multinacionales que favorecen los intereses de los grandes poderes económicos. Estas empresas son multi estatales, o lo que es lo mismo, son propiedad de varios Estados. A ellos es asignada una centralidad que consiste en la actividad de planificación, aguas arriba garantizando a las empresas el acceso a los recursos, y aguas abajo garantizando el acceso al consumo final o industrial al interno del mercado del ALBA. En la fase de producción o distribución, trabajan incluso empresas mixtas de naturaleza social, como las cooperativas y la unidad de producción social.
[10] Joaquin Arriola es profesor de Economía Política en la Universidad del País Vasco/EHU de Bilbao. Es miembro del comité científico de CESTES PROTEO.
[11] En Noviembre del 2013 fue publicado por la casa editorial “L’ideAle” una historieta libremente inspirada en el “Despertar de los cerdos – PIIGS”. En el libro, titulado “Vida de Pigs”, el colectivo “Briganti Sempre” ilustra y cuenta la historia de un joven cualquiera, que metafóricamente representa los dramas sociales causados a consecuencia de la crisis sistemática que estamos atravesando. Del curso de este iluminador cuento, se da a ver también la necesidad de un protagonismo colectivo en las luchas, que pueda proyectarse estratégicamente para la construcción, posiblemente dentro de Europa pero fuera de la Unión Europea, de un área de fuerte connotación solidaria.