“Ci vuole ben altro per uccidere i maiali”
La crisi economica non ci piegherà!
Il movimento internazionale dei lavoratori può trasformare la crisi sistemica del capitale in una grande possibilità di rilancio del conflitto, per il cambiamento radicale nell’emancipazione di classe.
di
Rita Martufi e
Luciano Vasapollo
Seconda parte
1. Vogliamo riprendere il discorso iniziato con la pubblicazione della prima parte dell’analisi della crisi economica che si sta vivendo nella UE e nei paesi a capitalismo maturo e le forme di uscita della stessa partendo dal rafforzamento del movimento internazionale dei lavoratori nel conflitto capitale-lavoro. Il modello sociale europeo da diversi anni attraversa una crisi profonda e la recente debolezza dell’euro, successiva alla grave crisi finanziaria del 2008, ha consacrato definitivamente la trasformazione del modello economico dell’Unione Europea.
Non è una crisi solo economica, non è una crisi solo finanziaria. Oggi la crisi del capitalismo è anche alimentare, ambientale. energetica, è una crisi sociale.
La crisi economica internazionale che viviamo attualmente è "di carattere sistemico", è una conseguenza dell'accumulazione del capitale, della sovrapproduzione. Non c’è oggi un super consumo, il fatto è invece che si abbassa il potere d'acquisto, del salario europeo.
L'Unione Europea svolge una funzione di neocolonizzazione all'interno del continente. L'Unione Europea sta colonizzando i Paesi del Sud, i PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna), parola che in inglese significa maiale - una maniera per offendere i popoli del sud -, per rafforzare la Germania ed i Paesi del nord Europa e poter così avere un ruolo importante nello scontro globale con gli Stati Uniti e gli altri poli geoeconomici e geopolitici; tutto ciò porta al rafforzamento competitivo creando una forte industria esportatrice nel nord Europa a svantaggio del sud che continua anche con la deindustrializzazione, il declino economico e sociale. Si sta dislocando l'economia e si attaccano la spese sociali. Noi (sud Europa) oggi siamo la colonia del nord, della Germania, ma sotto c'è l'Africa. I lavoratori africani e dei Sud del mondo che vengono a cercare una possibilità di vita in Europa sono legalmente uccisi. Il Mediterraneo, il mare delle civilizzazioni greche, romane, egizie, delle grandi civiltà dell'Africa del nord, oggi è una tomba, un cimitero sommerso di morte di migranti del e per il lavoro. Questo significa una strage di popolo del lavoro negato.
Se permane questa situazione, tra 10 anni milioni e milioni di persone dall'Asia ed Africa entreranno in Europa in cerca di sopravvivenza, di una speranza di vita.
Il perdurare della crisi economica ha fatto si che il livello e la qualità della vita dei cittadini europei si sia notevolmente impoverita e la crescita del livello di povertà e esclusione sociale sia sempre più alto.
La crisi economica diventerà una crisi sociale sempre più in profondità, perché anche la maggioranza degli europei oggi sono poveri, non esiste la classe media, la classe media di dieci anni fa ora è una classe povera.
Oggi non c'è in Europa uno Stato sociale con una buona sanità pubblica, educazione e formazione pubblica, si attacca il lavoro con la precarietà. È incredibile quello che sta succedendo in Europa.
2. Di seguito si mostrano alcuni indicatori economici relativi ai paesi dell’Unione Europea. I dati mostrano chiaramente le difficoltà delle economia occidentali ad uscire dalla crisi e confermano ancora una volta quanto già scritto in varie occasioni, in particolare nel libro-manifesto politico “Il risveglio dei maiali” di L.Vasapollo con R.Martufi e J.Arriola,1
Area euro - Tasso di Crescita annuale del PIL2
Frequenza trimestrale (per l’anno 2012 sono calcolati gli ultimi due trimestri, per l’anno 2013 i 4 trimestri come per il 2014 e per il 2015 i primi due trimestri; il secondo semestre 2015 sono dati di proiezione).
Germania - Tasso di Crescita annuale del PIL
Frequenza trimestrale (per l’anno 2012 sono calcolati gli ultimi due trimestri, per l’anno 2013 i 4 trimestri come per il 2014 e per il 2015 i primi due trimestri; il secondo semestre 2015 sono dati di proiezione )
Italia - Tasso di Crescita annuale del PIL
Frequenza trimestrale (per l’anno 2012 sono calcolati gli ultimi due trimestri, per l’anno 2013 i 4 trimestri come per il 2014 e per il 2015 i primi due trimestri; il secondo semestre 2015 sono dati di proiezione )
Grecia - Tasso di Crescita annuale del PIL
Frequenza trimestrale (per l’anno 2012 sono calcolati gli ultimi due trimestri, per l’anno 2013 i 4 trimestri come per il 2014 e per il 2015 i primi due trimestri; il secondo semestre 2015 sono dati di proiezione )
I dati sul tasso di crescita del PIL evidenziano la prima recessione in Italia e la grave crisi della Grecia e come i valori appena positivi dell’area euro dall’anno 2013 siano attribuibili in gran parte alla crescita della Germania.
Area euro - PIL pro capite
Germania - PIL pro capite
Italia - PIL pro capite
Grecia - PIL pro capite
Anche i valori del PIL procapite dimostrano come l’unico paese che ha realizzato un elevato PIL procapite sia sempre la Germania, una evidente significativa caduta in Italia e la Grecia si colloca sempre al livello più basso.
Area euro – Produttività (Indice Punti) Valore Mensile Gennaio luglio
Germania – Produttività (Indice Punti) Valore Mensile Gennaio luglio
Italia – Produttività (Indice Punti) Valore Mensile Gennaio luglio
L’indice di produttività mostra andamenti altalenanti nonostante un maggior sfruttamento della forza lavoro, anche attraverso un uso massiccio della precarietà, l’aumento dei ritmi, l’abbassamento delle tutele, il che provoca una sempre più alta estorsione di plusvalore relativo.
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Area euro - La crescita dei salari (%)
Germania - Salari
Italia - La crescita dei salari (%)
A fronte di un significativo aumento dei salari in Germania si notano piccolissimi incrementi percentuali dei salari in Italia e in tutta l’area dell’euro, sempre fortemente al di sotto del tasso di inflazione ufficiale ( comunque sempre significativamente più basso di quello reale), il che conferma la durevole e continua pesante perdita del potere di acquisto salariale.
3. Ed è interessante riportare un articolo di ottobre 2014 in cui Joschka Fischer, ex Ministro degli esteri tedesco, critica la politica della Germania e sostiene che al momento il suo paese:
“ sia attualmente il più grande pericolo per l’Europa. «Se non cadono i tabù tedeschi»…e se non si esce dallo stallo provocato dalla politica dei «piccoli passi», tanto cara ad Angela Merkel e bollata come pragmatismo «pigro» e «difensivo», l’epilogo tragico è certo.
«Bisogna prepararsi seriamente alla fine del progetto europeo» scrive l’ex ministro degli Esteri tedesco nel suo nuovo libro dal titolo eloquente, «Scheitert Europa?» («L’Europa fallisce?») che è anzitutto un durissimo atto di accusa contro la Germania della Cancelliera. L’ex enfant prodige dei Verdi tedeschi, figura chiave dei governi Schroeder, traccia un bilancio amaro della crisi, che ha messo in luce una verità fondamentale sulla moneta unica: era stata progettata «per il bel tempo». L’uragano della bolla immobiliare americana e lo scoppiare della Grande crisi l’hanno colta impreparata. Ma se lo tsunami da subprime ha preso piede nel Vecchio continente, è anche per l’incapacità di molti politici di capirne la portata. Un anno dopo il crash, il ministro delle Finanze Peer Steinbrueck continuava a parlare di «crisi americana». Senza accorgersi che «i lembi del suo frac stavano già prendendo fuoco», scrive Fischer…E nell’autunno caldo del 2008, Angela Merkel si rese responsabile di una decisione che contribuì secondo l’ex ministro degli Esteri ad accelerare il disastro finanziario: rifiutò una soluzione comune europea sin dall’inizio, inaugurò il triste filone dell’«ognun per sé».
Fischer ritiene inoltre devastante l’austerità «alla tedesca», perché ha imposto ai Paesi del Sud Europa una deflazione interna dei salari e dei prezzi che avrebbe ora bisogno di essere mitigata da una «soluzione comune per tutti i debiti pregressi». Bloccando quest’opzione, Berlino sta condannando il Sud Europa alla «trappola» della spirale dei debiti, cioè a non uscire mai dalla crisi. E il politico accusa il suo Paese di avere la memoria troppo corta, in questo accanimento pedagogico contro i partner meridionali. «Sorprendente», scrive, che la Germania abbia dimenticato la storica Conferenza di Londra in cui l’Europa nel 1952 le abbonò tutti i debiti. Senza quel regalo, «non avremmo riconquistato la credibilità e l’accesso ai mercati», la Germania «non si sarebbe ripresa e non avremmo avuto il miracolo economico»…
All’inizio della crisi, osserva Fischer, l’Europa [è stata investita da un] fiume…in piena…Merkel ha delegato al «governo sostitutivo dell’eurozona», come Fischer chiama la Bce, l’onere del salvataggio. Ma si tratta di una soluzione, alla lunga, destinata a fallire. Né Schmidt, né Kohl, è l’affondo finale di Fischer, avrebbero reagito in modo così «indeciso» e «con lo sguardo rivolto all’indietro» alla crisi come la Cancelliera: avrebbero anzi approfittato dell’impasse per fare un altro passo importante verso l’integrazione europea3.”
E ancora più sorprendenti sono le parole di Obama il quale parlando4 “della Repubblica Ellenica, Obama ha infatti sottolineato come sia difficile fare le riforme giuste in un paese in cui il PIL è crollato del 25% in pochi anni, proprio a causa dell'austerità di bilancio imposta ad Atene dagli altri paesi europei e, in particolare, dalla Germania di Angela Merkel.”.
Il caso della Grecia, paese tra i più colpiti dalla crisi economica, ha posto tra gli altri un problema di compatibilità della moneta euro con le varie realtà nazionali. Posto che i paesi europei che hanno adottato l’euro non hanno economie nazionali in alcun modo confrontabili, occorre tener conto che paesi che adottano la stessa moneta non hanno politiche economiche armoniche. A differenza del dollaro l’euro non ha dietro una struttura politica unica; il fatto che tra i paesi dell’Eurozona vi siano disaccordi anche profondi testimonia come l’euro è un progetto comune che però divide e non unisce l’Unione Europea.
4. L’aggiustamento strutturale voluto è dogmatico dato che è cosa nota come i tecnici non siano in grado di raggiungere quell’obiettivo anche perché la risposta è da strutturarsi sempre in funzione delle dinamiche della crisi sistemica e delle politiche della competizione globale tra USA, UE e a loro volta anche finalizzate a rallentare l’espansione di potere e mercato da parte dei BRICS.
L’unica politica alternativa sarebbe quella di modificare la relazione e la composizione dei soggetti economici vincitori e dei perdenti con diverse politiche pubbliche. Ovviamente gli agenti che detengono i titoli del debito pubblico sono i beneficiari degli interessi, per cui non si vuole fare una politica a favore dei PIGS perché ci rimetterebbero questi operatori economici che sono le banche degli Stati Uniti e quelle britanniche (capitalismo anglosassone), oltre al sistema bancario francese e tedesco. Ma il debito pubblico dei paesi mediterranei non è tra le mani esclusive della finanza del Nord Europa dato che le banche degli stessi PIGS detengono il 12% del loro debito.
Il problema è che bisogna passare dall’aggiustamento dell’economia per adattare il debito ad una politica che è l’unica via, ovvero che aggiusta il debito per adeguarlo alle necessità della politica all’economica. Se il debito non può essere pagato non si deve pagare perché altrimenti si provoca una capitalizzazione dell’interesse dalla quale non si può uscire. Sono provvedimenti che realizzano la sottomissione dell’economia al comando della politica già applicate in Argentina nel 2001 o in Ecuador qualche anno fa, ad esempio quest’ultimo non ha restituito agli organismi finanziari il debito illegittimo.
Rifiutare il debito è una decisione che può avere vari gradi di applicazione (rifiuto parziale, rifiuto con rinegoziazione della somma e delle condizioni, ecc.). Però la priorità politica non può essere liquidare il debito, quando ciò significa far aumentare la disoccupazione e aggravare l’impoverimento dei lavoratori. Quando la speculazione ha raggiunto un volume che supera tutte le possibilità di crescita della produttività, di sostenibilità di sfruttamento delle risorse naturali, e di sviluppo delle forze produttive, l'unica alternativa alla svalorizzazione (distruzione) massiccia di capitale è demercantilizzare il denaro.
Non si tratta di dare nuove funzioni a una Banca Centrale, ma di nazionalizzare il sistema finanziario, cominciando dai suoi agenti principali , trasformando il capitale monetario in denaro pubblico, in bene comune, destinandolo alla produzione sulla base di una pianificazione democratica dell'attività produttiva,(qualcosa di simile a ciò che nel secolo scorso chiamavano “socialismo”).
Si deve quindi infine affrontare decisamente il tema anch’esso operativo ma che pone da subito l’orizzonte strategico della rottura, dell’”abbandono” delle aree capitaliste come l’Europolo su basi di praticabilità immediata.
L’euro è servito per rinforzare i padroni esportatori dei paesi centrali dell’Europolo, cioè il polo imperialista europeo, e per indebolire la posizione commerciale e subordinare la dinamica di accumulazione nei paesi periferici del Mediterraneo alla divisione internazionale del lavoro imposta dai paesi centrali.
Non si tratta di risolvere soltanto con le minacce di fallimento, il volume di debito implicato nei PIGS è di un livello tale che può modificare il sistema finanziario internazionale. Non serve solo restringere le attività finanziarie ma evitare assolutamente il potere delle multinazionali rilanciando un piano di socializzazione, nazionalizzazione e statalizzazione dell’economia a partire dal ruolo nazionale della Banca Centrale. Si tratta di fare politiche a maggiore sostenibilità sociale con un forte intervento pubblico in modo che i benefici non vadano al sistema finanziario o al sistema industriale decotto. La Germania spinge più di tutti per mantenere questa situazione, però dovrebbero mettere in conto che continuare a colpire il sistema della spesa pubblica comincia a creare problemi anche interni e non si sa cosa avverrà anche in Nord Europa.
5. Da molto tempo vive un dibattito non solo tra marxisti sull’opportunità per un’area di paesi, a struttura economico-sociale simile, di realizzare l’ “abbandono” o il “distacco” da quella che Hosea Jaffe ha chiamato nel 1994 “l’azienda mondo” identificando con questa i poli di dominio del sistema capitalista internazionale con le istituzioni e gli organismi che si è dato (FMI, Banca Mondiale, BCE, WTO, UEM, ecc.). Tutto ciò non è stato un mero esercizio teorico ma ha avuto ed ha delle esperienze concrete che rendono tale ipotesi realisticamente praticata e praticabile. Si pensi ad esempi storici dal Kemala ieri all’A.L.B.A. oggi. In tali esperienze, con tutte le possibili diversità si sono affermati modelli di sviluppo autodeterminati , incentrati sulle risorse e le economie locali, valorizzando al contempo le proprie tradizioni culturali e produttive. Si è anche dimostrato che sapendo valorizzare le proprie risorse si può rinunciare a tante merci inutili importate e funzionali ad un sistema di consumismo insostenibile. In tal modo Portogallo, Italia, Grecia e Spagna (PIIGS con l’aggiunta dell’Irlanda) si convertono sempre più in riserve di servizi turistici e residenziali, o di servizi generali alle imprese, sottomessi ad un processo di deindustrializzazione più o meno accelerato. Per questo non si può avere una uscita dalla crisi che non pregiudichi sempre più i lavoratori senza modificare le regole del sistema monetario e finanziario vigente. Non si tratta soltanto di un problema vincolato alla questione monetaria. L’idea di abbandonare l’Unione Economica e Monetaria della UE (UEM) e tornare alle monete nazionali del passato non può neppure questa essere considerata un’alternativa per i Paesi della periferia europea mediterranea, poiché la debolezza estrema di un’eventuale moneta nazionale di fronte al capitale finanziario globale non permetterebbe una regolazione efficace del ciclo e del cambio strutturale in questi Paesi.
Per tutto questo l’alternativa monetaria e finanziaria deve inserirsi in una proposta di integrazione economica e sociale del tutto differente a quella perseguita dall’Unione Economica e Monetaria e dal mercato unico.
Se i Paesi della periferia europea desiderano ritornare al controllo sull’attività produttiva questo lo possono realizzare soltanto in maniera congiunta e mediante un processo di rottura con il modello della finanza privata e dello spazio monetario asimmetrico vigente.
6. Le alleanza politiche del mondo del lavoro devono affrontare una sfida storica. Anche in questo caso è chiaro ad esempio che la Grecia da sola non ce la può fare ma ha bisogno del supporto di un’area, di un sistema bancario nazionale, della nazionalizzazione dei settori strategici, di una nuova moneta di conto perlomeno per la compensazione interna (più o meno lo stesso percorso attuato nei paesi dell’ALBA e ora da noi viene indicato come esempio di alleanza politica ed economica). Probabilmente l’unica via è dire no all’attuale Unione Europea e uscire dall’euro ma non con il tornare alle monete nazionali o un nazionalismo di ritorno ma attraverso un’ipotesi che parta dal basso nella logica della complementarietà produttiva che includa il Nord Africa e l’Est Europa in cui si è trasferito il fordismo, in modo da integrare risorse primarie ed energetiche, fordismo e servizi.
Uscire dall’euro proponendo una nuova moneta per Paesi con strutture produttive più o meno simili è l’unica alternativa realizzabile, che permetterebbe sia di mantenere un margine di negoziazione con le istituzione comunitarie e con la Banca Centrale Europea sia di creare un nuovo blocco politico istituzionale capace di realizzare un modello di accumulazione favorevole ai lavoratori.
7. L’uscita dall’euro dovrebbe realizzarsi in forma concertata, in primo luogo tra i paesi della periferia mediterranea con quattro momenti intimamente relazionati senza i quali tale processo potrebbe risultare un disastro per tutti. Tutti questi elementi si devono però realizzare simultaneamente, per evitare la decapitalizzazione dell’intera regione periferica e per assumere un controllo adeguato sulle risorse disponibili per gli investimenti. I quattro momenti sono: a) La determinazione di una nuova moneta comune (a titolo esemplificativo potremmo chiamare questa moneta “LIBERA”, cioè una moneta appunto libera dai vincoli monetari imposti nella costruzione dell’euro) all’Europa mediterranea;
b) La rideterminazione del debito nella nuova moneta dell’area periferica (a titolo esemplificativo tale area la potremmo chiamare A.L.I.A.S. – Area Libera per l’Interscambio Alternativo Solidale) relazionata al cambio ufficiale che si stabilisce. (o ALBA euro-afro-Mediterranea).
c) Il rifiuto e azzeramento almeno di una parte consistente del debito, a partire da quello con le banche e le istituzioni finanziarie, e l’imposizione di una rinegoziazione dello stesso residuo;
d) La nazionalizzazione delle banche e la stretta regolazione (incluso la proibizione momentanea) della fuoriuscita dei capitali dall’area stessa.
La nuova moneta comune “LIBERA” o SUCRE Mediterraneo si potrebbe negoziare sia dentro che fuori dell’Unione Europea, cosa che di per sé permetterebbe una gestione più ordinata della transizione produttiva, senza dover gestire allo stesso tempo la rottura monetaria quella del mercato unico e quella dei flussi finanziari.
L’uscita dall’euro, quindi dall’Eurozona o Europolo, è un’opzione e un passo verso la soluzione dei gravi squilibri strutturali delle economie periferiche che non sono semplicemente squilibri finanziari ma son innanzitutto di carattere produttivo: una struttura di base industriale in declino, un uso eccessivo e inefficiente enorme della forza lavoro, una concentrazione scandalosa di ricchezza e di patrimonio.
È necessario però un piano di riforme strutturali di redistribuzione della ricchezza e di investimenti pubblici, un piano industriale e una capacità di un nuovo movimento dei lavoratori che proponga tali rivendicazioni nell’ambito di lotte come quelle portate avanti in America Latina. Se ciò non accade ogni proposta resta teoria.
Crediamo che stia nascendo una nuova alleanza del lavoro tra nord e sud nello spazio mediterraneo. Bisogna, quindi, costruire una nuova correlazione di forze che si deve fondare su un programma di rottura con le strutture politico-finanziarie che hanno generato il caos totale. Una partita dell’internazionalismo di classe che si dialettizzi ai proletari dei Sud del mondo che possano trovare nei PIIGS , e in generale nei paesi dell’area mediterranea, l’esempio di un percorso capace di sparigliare le carte dell’”azienda mondo”.
E per le organizzazioni sindacali conflittuali e i movimenti sociali anticapitalisti che agiscono in Europa si tratta di acutizzare le contraddizioni contrapponendosi direttamente alle regole dei potentati dell’Europolo.
Da subito è possibile inceppare i meccanismi di potere dei centri-polo, delle aree del sistema di dominio del modo di produzione capitalista, come sta tenacemente realizzando l’alleanza dell’ALBA in America Latina.
8. Anche l’ipotesi di una moneta propria all’interno dello stesso sistema monetario europeo, cosa che propongono alcuni analisti per Paesi come la Grecia, o per il resto di altri Paesi dell’Europolo con alti livelli di squilibrio fiscale nemmeno permette autonomia della politica monetaria per sviluppare una politica alternativa, perché tale eventuale moneta interna al sistema, nello stesso modo che oggi avviene per il resto dei Paesi dell’Unione Europea che non fanno parte dell’Unione Economica Monetaria (in pratica l’area dell’euro), sarebbe soggetto ai criteri neoliberisti e a favore della finanza privata della Banca Centrale Europea.
Una nuova moneta come LIBERA, o SUCRE mediterraneo, per la periferia europea confliggerebbe inevitabilmente con la strutturazione vigente in materia di integrazione europea.
Però non esiste un procedimento fissato per uscire dalla UE, e questo può facilitare la realizzazione della nostra proposta per una nuova moneta per una gestione alternativa dell’economia e della politica, innescata inizialmente all’interno della UE, per aprire uno spazio che faccia avanzare un’ipotesi tattica per una dirompente riforma strutturale, contraria al neoliberismo e all’attuale sistema di dominio imperante.
9. In tutti i casi la fuoriuscita rappresenterebbe un’opzione di attacco al sistema del capitale europeo, confermando comunque l’intenzione politica di mettere in discussione da subito le istituzioni comunitarie con un progetto completamente alternativo che è inevitabile si debba mantenere e anzi rafforzare nel tempo inglobando i paesi dell’Africa Mediterranea e dell’Est Europeo nella iniziale area alternativa che vede insieme i paesi della periferia mediterranea, dell’Europa. E’ appunto questa che chiamiamo A.L.I.A.S., cioè l’ALBA euro-afro-mediterranea.
E’ altresì importante che il cambiamento del sistema monetario e finanziario sia una risposta congiunta, poiché il peso della periferia europea mediterranea è molto superiore a quello dei singoli paesi presi separatamente, e la sua capacità di resistenza e negoziazione è molto maggiore se realizzata congiuntamente, in particolare se ci si è rafforzati strutturalmente con la nazionalizzazione delle banche e dei settori strategici.
In maniera congiunta, il Mediterraneo e l’Est d’Europa raggruppano un insieme di formazioni sociali con un elevato grado di simmetria produttiva, paesi nei quali la politica monetaria e fiscale incontra un confluenza d’interessi, facilitando la possibilità di un processo di transizione attraverso politiche basate sul pieno impiego delle risorse produttive e con un miglioramento graduale ma deciso delle condizioni di vita di tutte le popolazioni. Uscire dall’euro è quindi un’operazione complessa che non ha solo implicazioni monetarie. Non si può pensare d’imporre un ritorno alla lira, alla pesetas o alla dracma, perché l’esistenza stessa dell’euro ha dato luogo ad un’evoluzione nel sistema monetario internazionale e a un’integrazione produttiva delle economie nazionali. Solo in condizione di una forte autarchia sarebbe pensabile che un’economia nazionale europea sia realizzabile. Però non è garantito, né meno che meno che i questa condizione la qualità della vita della popolazione possa migliorare rapidamente.
10. Il passaggio ad un modo di produzione altro, meglio il passaggio alla società socialista, presuppone ovviamente non solo l’esplosione dell’oggettività drammatica in cui si presenta la crisi ma la presenza organizzata della soggettività rivoluzionaria che può indirizzare la classe verso i percorsi reali di superamento del modo di produzione capitalistico.
Ciò che possiamo assicurare è l’impossibile esistenza, a medio-lungo termine, del capitalismo.
Ecco perché la nostra analisi non ha a che fare con una visione immediata di fine del capitalismo per “autodistruzione” e quindi in una sorta di teoria del crollismo. In assenza di un confronto di classe radicale e con forza soggettiva organizzata capace concretamente di una ricerca di soluzioni, il sistema troverà ancora delle modalità attuative dei capitalismi per far sopravvivere il modo di produzione capitalista.
Ciò che si è presentato in questa nostra proposta vuole quindi essere una ipotesi di dibattito ma nello stesso tempo una possibilità concreta di percorsi di lotta per i sindacati di classe, per i movimenti sociali conflittuali, per le organizzazioni rivoluzionarie comuniste e anticapitaliste.
Un’alternativa mondiale per la trasformazione radicale deve essere un progetto che contenga un significato transnazionale, con da subito una strategia che si muova in un orizzonte capace di determinare processi politici che, anche nei momenti rivendicativi tattici, abbiano sempre chiara la strategia politica per il superamento del modo di produzione capitalista e di costruzione del socialismo possibile.
Ecco perché rivendichiamo che i nostri maiali non sono in vendita! Ma saremo noi , lavoratori dei Sud, terroni, maiali, negri, indios, migranti che ROMPEREMO L’UNIONE EUROPEA PER USCIRE DALL’EURO E COSTRUIRE NELLA LOTTA DEL MOVIMENTO DEI LAVORATORI L’ALBA EURO-AFRO MEDITERRANEA
1 Ed.Jacabook, Milano, seconda edizione 2012, e si vedano le edizioni greca, spagnola, cubana e portoghese incorso di pubblicazione.
Per i dati sui vari paesi si confronti il sito it.tradingeconomics.com