Gramsci ispiratore del Che. Vasapollo: Cuba e Venezuela ci restituiscono la carica ideale per uscire dalla crisi tutelando i deboli
5-4-2020
Nazareno Galiè
Questo contributo nasce da un colloquio con Luciano Vasapollo, intellettuale marxista di fama internazionale, durante i giorni in cui l’epidemia di coronavirus ha cambiato le nostre abitudini. La crisi epidemica ha mostrato le fragilità dell’ economia dei paesi occidentali e l’insostenibilità del nostro modello di sviluppo. Elemento di grande interesse, Vasapollo ha il privilegio di conoscere molto bene la realtà di nazioni che hanno superato le compatibilità capitalistiche, al fine di costruire una società più equa ma anche più conciliabile con i ritmi e le necessità della natura, risolvendo quello che è il conflitto più rilevante del nostro tempo: quello fra capitale e ambiente. Vasapollo, docente di Economia della Sapienza, nonché delegato del Rettore per i rapporti con l’America Latina e il Caribe, è stato un allievo di Federico Caffè, uno dei più autorevoli economisti italiani del novecento, da cui ha appreso un “metodo pedagogico democratico” che gli ha insegnato a superare le “false neutralità del pensiero pseudo scientifico” al fine di rilevare la proprie premesse di analisi.
Infatti, l’importante economista si riconosce nel pensiero marxista, sebbene lo coniughi costantemente con contribuiti provenienti da altre scuole di pensiero. È stato, ad esempio, uno dei più autorevoli divulgatori del pensiero di José Martí e Simon Bolivar in Italia. Vasapollo, inoltre, ha potuto conoscere da vicino sia la realtà cubana che l’esperienza rivoluzionaria bolivariana in Venezuela, avendo avuto la possibilità di collaborare con due figure chiave del Novecento: Ugo Chávez e Fidel Castro. In questo modo, ha avuto modo di “completare la propria formazione teorica a stretto contatto con la vita di una rivoluzione al potere” e questo gli ha consentito di rendere la sua formazione marxista occidentale “più universale e più dialettica”. Come ha spiegato, “dal mondo della cultura martiana e da Fidel” ha potuto apprendere “un sapere e una prassi che non sempre è presente nel mondo troppo a lungo eurocentrico del marxismo”.
Recentemente, Vasapollo ha ricordato l’influsso esercitato su di lui dal grande filosofo ungherese Istvan Meszaros, autore di importanti studi sulla possibilità della transizione dal capitalismo al socialismo, che gli ha aperto la possibilità “di ragionare sulla base di una teoria della storia che riconosce all’oggettività dei processi un carattere temporale imprevedibile, all’interno del quale va inserita, forzando a volte l’orizzonte, la capacità della soggettività organizzata di accelerare determinati processi”. Un’altra questione su cui Vasapollo ha dedicato profonde analisi è quella del meridionalismo. Infatti, se da un lato ha sempre riconosciuto il proprio debito intellettuale nei confronti di Gramsci, ovviamente di un Gramsci non “sterilizzato” dall’accademia e dai suoi divulgatori conformisti, dedicando profonde analisi alle economie e culture del meridione del mondo, di cui il nostro mezzogiorno e l’Europa meridionale sono parti costitutive, dall’altro il caposcuola marxista ha conosciuto da vicino la realtà e il pensiero degli stati della Nuestra America, i quali hanno sviluppato un modo di intendere la vita originale e spesso distante dai paradigmi imperanti in occidente, come l’individualismo e la cultura del profitto.
Vasapollo ha richiamato altresì l’attenzione su temi “quali l’Egemonia, il blocco storico, le grandi riflessioni di Gramsci sull’educazione, l’istruzione, l’avanzamento culturale e politico del popolo, la scuola”, su cui anche il mondo latino americano ha cominciato a interrogarsi con l’esperienza cubana e bolivariana. È nota la riscoperta di Gramsci in Sud America, sulla cui ricezione Vasapollo ha a lungo lavorato. Per questo motivo, il FarodiRoma ha deciso di intervistarlo a proposito di un accostamento di due figure, per certi versi distanti ma per altri molto simili, come Che Guevara e Antonio Gramsci. Il grande rivoluzionario argentino, come è noto, fu anche un grande intellettuale e una volta giunto alla direzione dello stato, insieme a Fidel, si scontrò con i pericoli e le opportunità della transizione al socialismo. I temi dell’egemonia e dell’educazione, soprattutto per questa ragione, furono al centro dell’azione dei rivoluzionari cubani, come Fidel e Che Guevara.
Esiste una linea di continuità fra il pensiero di Guevara e quello di Gramsci a proposito dell’educazione del popolo, ha spiegato innanzitutto Vasapolo. Sia Gramsci che Guevara hanno rifiutato una concezione idealistica della formazione dell’individuo. Entrambi hanno enfatizzato il fatto che l’uomo non si forma isolatamente, dopo che ha sviluppato tutte le proprie potenzialità e i suoi talenti. In una lettera alla moglie, Gramsci le rimprovera di aver insegnato a suo figlio la scrittura da destra verso sinistra, aderendo a una visione spontaneista dello studio. Senza cedere alle mode del pedagogismo, Gramsci sottolineava l’importanza della disciplina e del metodo nel processo educativo. La disciplina, ovviamente, ha aggiunto Vasapollo, ha una forte ricaduta politica, ma anche antropologica. L’uomo per Gramsci, come anche per Guevara, non è un ente astratto, il quale si determina da solo, lasciato ai propri impulsi e alle proprie passioni, ma fondamentalmente è il risultato della somma di tutti i rapporti sociali del passato e del presente.
Come spiega Vasapollo, così come Gramsci dà grande importanza al ruolo dell’insegnante, il quale ha il compito di guidare il bambino nel proprio processo educativo, gli intellettuali e dirigenti politici hanno il dovere di guidare e educare le masse, le quali possono altresì essere manipolate e ingannate dalle classi dirigenti, che le utilizzano per i loro scopi e il loro profitto. In ottica marxista, ha aggiunto Vasapollo, per classi dirigenti non si devono intendere solo i politici, ma anche gli accademici, i giornalisti organici e portavoce delle élites, i grandi capitalisti, ecc. Secondo Gramsci, ha aggiunto lo studioso marxista, la coscienza dell’uomo si forma nell’alveo dei rapporti sociali in cui essa è portata ad interagire e non è mai data a priori, come il pensiero idealista ha sempre creduto. Infatti, trasformando questi rapporti sociali è possibile modificare quello che Gramsci ha chiamato il “senso comune”. Gli strati subalterni della società, ovviamente, a causa della loro fragilità e dipendenza secolare, sono soggetti a subire l’egemonia delle élites, assorbendone parte della “cultura”, fatta loro recepire in modo per lo più irriflesso e confuso, la quale viene fatta propria insieme alle concezioni che essi hanno preso dal folklore e dalla propria comunità locale.
Per questo motivo, ha sottolineato Vasapollo, è compito dell’avanguardia rivoluzionaria elevare la coscienza dei subalterni, operai e contadini, al fine di costruire una consapevolezza diffusa su quali siano gli interessi di classe e per quale motivo sia indispensabile il cambiamento. Per questo Gramsci, ha osservato Vasapollo, ha insistito sull’importanza di formare intellettuali organici per la classe subalterna, così come Guevara, una volta giunto al potere attraverso una rivoluzione vittoriosa, prese molto sul serio il tema dell’educazione del popolo. Guevara era consapevole come solamente un popolo istruito e padrone dei suoi mezzi, sarebbe stato in grado di lottare per una società nuova e di porsi in difesa della “transizione”, soggetta a aggressioni interne e soprattutto esterne.
Un altro elemento che mette in comune Gramsci e il Che, ha inoltre rilevato lo studioso, è la profonda convinzione che l’andamento della storia non sia determinata a priori e retta solo dalle forze materiali, con cui bisogna, per forza di cose, fare comunque i conti, ma come la “soggettività” rivoluzionaria, chiamata da Gramsci anche Moderno Principe e “intellettuale collettivo”, possa cambiare il corso degli eventi producendo delle rotture e inversioni di tendenza. Senza comprendere questo, ha sottolineato Vasapollo, è forte il rischio di cadere nell’economicismo e nel meccanicismo, accettando l’irreversibilità delle compatibilità capitaliste e la naturalezza dei rapporti socio/economici. Gramsci e Guevara c’hanno insegnato a comprendere le dinamiche che stanno dietro la storia, analizzando il potere e incentivando a concepire quali siano le tattiche e le strategie della trasformazione. Il caposcuola marxista Vasapollo, ha spiegato come si finisca per fare propri i parametri e paradigmi del liberismo, accettando, in definitiva, l’ideologia delle classe dominanti, se non si comprende come le ferree leggi della storia siano in realtà un’ideologia imposta al popolo per fargli credere, come affermava cinicamente Thatcher, che non c’è alternativa. There is not alternative!
Per rompere questo schema, che non era stato ancora teorizzato in questo modo al tempo di Gramsci e Guevara, i quali erano favoriti dall’esistenza di un modello alternativo quanto mai in ascesa, quello della pianificazione sovietica ma anche del keynesismo, che negli anni 30 vedeva la propria comparsa con il New Deal, è necessario non solo modificare i rapporti economici, premessa e corollario comunque essenziale, ma anche agire sul piano delle coscienze, facendo capire al popolo il carattere strumentale delle categorie mercantiliste. Solo formando nell’alveo della classe subalterna, ha spiegato Vasapollo, una soggettività rivoluzionaria, in grado di sfidare l’ideologia delle classi dominanti, è possibile costruire le basi della transizione, che non possono essere meramente economiche e quantitative. La razionalizzazione dei processi produttivi, deve essere altresì guidata dalla consapevolezza e dalla giustezza degli obiettivi. Senza predeterminare gli obiettivi, partendo dai bisogni sociali, la pianificazione è votata al fallimento perché rigettata dal popolo come inefficace e costosa. Che Guevara, ma anche Fidel Castro, ha poi sottolineato Vasapollo, hanno compreso tutto ciò e hanno ritenuto essenziale fare delle masse un soggetto partecipe del processo rivoluzionario perché, in caso contrario, la rivoluzione cubana sarebbe stata sconfitta, sia dall’emergere delle resistenze interne, sia soprattutto dall’azione nefasta dell’imperialismo, il quale ha puntato da subito, a Cuba, a infliggere sanzioni e rappresaglie per destabilizzare la società e fare insorgere il popolo contro il gruppo dirigente rivoluzionario.
Tuttavia, questo non è successo, perché i due grandi rivoluzionari hanno considerato fondamentale la diffusione della cultura e della prassi rivoluzionaria. Sappiamo quanto sia centrale il concetto di prassi in Gramsci, ha aggiunto Vasapollo, perché una lettura astratta e teorica del marxismo si risolve in un mero gioco accademico, fatto da intellettuali privi di qualsiasi referente sociale. Guevara e Fidel hanno compreso, inoltre, un altro tema fondamentale: che anche la presunta neutralità della scienza e della tecnologia è mera ideologia. La scienza, così come la tecnica, devono essere al servizio dei bisogni collettivi, sennò, come avviene nei paesi capitalistici, con il regime dei brevetti e dei diritti di proprietà, esse si trasformano in uno strumento di arricchimento per le classi dirigenti e i padroni dei mezzi di produzione. Fidel e Guevara sapevano come fosse necessario trasmettere al popolo la scienza e la tecnica, non solo perché nel processo di transizione era necessario che le forze produttive fossero sviluppate nella maniera più ampia possibile, secondo una formulazione classica del materialismo storico, ma anche perché solo così la soggettività rivoluzionaria sarebbe potuta essere padrona, come lo è stata a Cuba, del proprio destino.
Inoltre, solo riuscendo a conquistare una propria autonomia industriale, lo stato socialista avrebbe potuto funzionare, essendogli precluso l’acquisto di beni e servizi dall’estero. In questo senso, nei primi anni della rivoluzione fu essenziale il contributo dato dall’Unione Sovietica, che inviò i propri tecnici e le proprie materie prime in chiave internazionalista. La rivoluzione, d’altronde, è un processo storico, il quale ha bisogno di molteplici strumenti di lotta e che si svolge sia sul piano nazionale sia su quello internazionale. Uno degli obiettivi principali del gruppo dirigente cubano fu, pertanto, quello di far progredire Cuba sul piano dello sviluppo scientifico, perché altrimenti la rivoluzione sarebbe fallita, in quanto la dipendenza dal mercato internazionale, dominato dagli stati capitalistici ostili, l’avrebbe strozzata. Come rileva Vasapollo, Che Guevara ha sottolineato, più volte, la necessità della razionalizzazione della produzione al fine di aumentare la produttività del lavoro. È innegabile che l’esperienza rivoluzionaria cubana ha puntato molto sullo sviluppo scientifico del paese. In questi giorni, non è un caso, stiamo assistendo all’esportazione delle conoscenze e esperienze mediche della piccola nazione caraibica, la quale è riuscita, attraverso la pianificazione socialista, a ottenere dei risultati eccellenti in campo medico e biotecnologico.
Questi risultati, ha tenuto a sottolineare Vasapollo, partono da lontano. Nonostante la durezza del blocco, cui è stata costretta Cuba dai primissimi anni sessanta dagli Stati Uniti, i risultati di assoluta eccellenza nel campo della medicina, della tecnica e delle biotecnologie sono sotto gli occhi di tutti. Questo è stato possibile grazie alle intuizioni di Guevara e Fedel, che hanno inteso l’economia e la scienza come un mezzo e mai come un fine. Entrambi i rivoluzionari, ha aggiunto Vasapollo, erano consapevoli che la pianificazione, elemento sine qua non perché si parli di socialismo, deve essere sottoposta a una continua verifica politica e, dunque, sia Fidel che Guevara hanno dimostrato di possedere una visione ampia, non economicistica e meramente quantitativa della vita. I rivoluzionari hanno appreso la necessità che le masse siano cointeressate al cambiamento e alla transizione, sennò tutto si sarebbe risolto in uno scacco.
Sul piano della concezione della vita che Gramsci e Guevara trovano un fondamentale punto d’incontro, ha ribadito, inoltre Vasapollo, sottolineando come entrambi abbiano rifiutato una visione deterministica e meccanica della stessa e abbiano avuto fiducia nelle possibilità di cambiamento determinate dalla soggettività politica. D’altra parte, ha voluto sottolineare lo studioso marxista, è possibile collegare queste due figure sul piano della filosofia della prassi, in quanto la scienza economica, così come intesa da questi grandi rivoluzionari, non può essere assolutamente ridotta, secondo schemi propri del riduzionismo positivista di matrice ottocentesca, a calcolo meccanico o a pensiero calcolante. In questo senso, ha spiegato Luciano Vasapollo, se esistono molteplici chiavi per leggere l’azione di questi due intellettuali, la chiave teorica principale è il rifiuto del meccanicismo e dell’economicismo volgare, fatto proprio anche da chi, a torto o a ragione, si richiama alla tradizione comunista. Come ha scritto Micheal Löwy, uno studioso che si è occupato del pensiero di Guevara, per il Che il marxismo era innanzitutto la filosofia della prassi. Una congiunzione fra teoria e azione che anche Vasapollo fa propria.
Questa visione anti-meccanicistica è altrimenti centrale nell’opera di Gramsci, il quale scrisse un fondamentale articolo su L’Avanti nel 1917, in cui concepiva la Rivoluzione d’Ottobre come una rivoluzione contro il Capitale di Marx. Questo significa che Gramsci non fosse marxista? Si è chiesto Vasapollo, contestando quanto scrivono tanti interpreti codini del pensatore sardo. Tutt’altro. Gramsci fu un autentico seguace del materialismo storico, ma fu altresì consapevole della necessità di superare gli irrigidimenti e le storture che gli epigoni marxisti della Seconda Internazionale, seguaci più di Comte che di Marx, avevano dato all’elaborazione teorica di Marx e Engels. Era una risposta piuttosto alla sclerotizzazione del marxismo che una fuoriuscita dallo stesso in direzione del pensiero borghese.
Un altro elemento che collega il Che e Gramsci è l’intuizione che la rivoluzione non potesse essere fatta soltanto dagli operai, i quali, in gran parte dell’Italia negli anni 30 o in Sud America e Cuba negli anni 50, non esistevano. Fondamentale in questo senso la categoria dei “subalterni”, cui Gramsci riferisce tutti i ceti sociali che subiscono l’egemonia delle classi dirigenti, anche straccione come quelle che avevano favorito l’ascesa del fascismo in Italia. L’alleanza fra contadini e operai, fra campesinos e obreros è stata operante durante la rivoluzione cubana. Una volta preso il potere, però, Guevara dovette fare i conti con quella culture e società che Gramsci aveva analizzato nei suoi Quaderni. Guevara era consapevole dei residui feudali, delle tare socio culturali e delle concezioni mercantiliste, presenti a Cuba anche dopo la vittoria sulla Sierra Maestra e la presa del potere dei rivoluzionari. Condizioni che si riscontravano anche nella società italiana degli anni 20 e 30, quando Gramsci scrisse le sue analisi. I residui feudali, ad esempio, ha spiegato Vasapollo, erano stati raccontati da Manzoni nei Promessi Sposi, con riferimento alla società italiana del Seicento, ma furono operanti a lungo, fin dentro al Novecento nella nostra penisola. L’economista ha voluto brevemente sottolineare quanto sia rivoluzionario un autore cattolico come Manzoni, anche lui spesso annacquato e depotenziato dalle letture accademiche e di maniera.
Luciano Vasapollo ha costantemente richiamato, più volte le costanti storico/culturali presenti nel Sud del mondo, in cui anche l’Italia (con l’eccezione del triangolo industriale dove il capitalismo agrario e industriale cominciò a svilupparsi già sul finire dell’Ottocento) può essere, per tanti versi, iscritta. La realtà dei “campesinos” e dei “terroni” era rimasta tuttavia fuori dalle analisi dei marxisti ortodossi, ossia i dirigenti ottocenteschi della Seconda Internazionale, ma anche dai loro epigoni socialdemocratici attivi per larga parte del Novecento. Quest’ultimi, ha spiegato Vasapollo, hanno infine aderito, come conseguenza logica del loro pensiero asfittico, all’economicismo borghese. Non è un caso che tutti i processi rivoluzionari che oggi attraversano l’America Latina guardino all’opera di Gramsci, ha aggiunto l’economista con particolare riferimento ai “temi dell’egemonia, del blocco storico, alle sue grandi riflessioni sull’educazione, sull’istruzione, l’avanzamento culturale e politico del popolo, la scuola. Alla straordinaria metafora del Partito come Moderno Principe, come intellettuale collettivo, non sommatoria di forze sociali ma demiurgo di una trasformazione profonda e dei rapporti del mondo e degli esseri umani”. Nondimeno, quello che viene letto e studiato in America Latina è un Gramsci ben diverso da quello attualmente che ci viene propinato dalle accademie e dai circoli culturali e partitici italiani. Infatti, ha spiegato l’intellettuale marxista, Gramsci in America Latina è stato sottratto “all’isterilimento accademico del gramscismo, perché la sua teoria serve a capire come si crea una volontà collettiva, a capire come fare dirigenti le classi popolari”.
Secondo Vasapollo, che ha dedicato a Guevara studi di ampio spessore, i nessi che legano la riflessione di Gramsci all’opera del Che – il quale agì in un contesto rivoluzionario, assumendo cariche politiche al vertice di uno “stato nuovo”, a differenza di Gramsci, che, dopo gli anni in cui fu attivo come dirigente di primo piano del PdCI, fu incarcerato dal fascismo e fu testimone di quella “rivoluzione passiva” che attuarono le classi dirigenti italiane in alleanza e compenetrazione con il fascismo- come abbiamo visto sono molteplici. Come Gramsci, il Che vede nella politica di massa la possibilità di rendere effettiva la transizione e per questa ragione è necessario che il popolo partecipi, e non sia mero spettatore, al processo rivoluzionario. Un’altra conquista fondamentale della riflessione gramsciana è la nozione di egemonia, che se era stata ricavata dall’analisi del contesto e della cultura italiana, può essere applicata anche nell’opera del Che, il quale ha sempre ritenuto essenziale che le masse fossero guidate da un’avanguardia rivoluzionaria in grado di agire anche sul piano del “senso comune”. Occorre tenere presente, ha spiegato Vasapollo, che sia Gramsci che Guevara erano leninisti. Gramsci arrivò a concepire il partito come Moderno Principe e “intellettuale collettivo”, ovvero una soggettività in grado di guidare le masse nella battaglia di trincea entro il capitalismo e gli assetti politici vigenti. La capacità del Guevara e di Fidel di dialogare con le masse, farle partecipi del processo rivoluzionario e di rovesciamento degli assetti dati, si muove su presupposti simili.
Questo, ha spiegato Vasapollo, lo vediamo bene tenendo a mente il dibattito sulla pianificazione cui partecipò Guevara. La transizione economica dai rapporti mercantili, tipici del capitalismo, a quelli della nuova società socialista, in cui i valori sono tramutati nel senso della collettività e dell’individuo, non sarebbe potuta avvenire, secondo il grande rivoluzionario argentino, meccanicamente. Anche se il Che riteneva la pianificazione essenziale per realizzare il socialismo, nondimeno comprese che non si sarebbe potuta applicare solo quantitativamente, impedendo che fossero riconosciuti i bisogni del popolo nella politica di piano. Infatti, ha spiegato Vasapollo, ad un dato punto del loro sviluppo le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti esistenti, cioè con i rapporti di proprietà. Nonostante che a Cuba la proprietà fosse in mano a una piccola oligarchia e soprattutto alle grandi imprese statunitensi, che sfruttavano l’isola per i propri interessi, era necessario, per via di quelle tare e quei residui di cultura mercantilista e feudale, rendere consapevole il popolo della natura collettiva della pianificazione. Senza una vera e propria educazione delle masse al processo produttivo, esse sarebbero state ben presto incapaci di comprendere le politiche del gruppo dirigente rivoluzionario e si sarebbe corso il rischio che esse rifluissero verso posizioni reazionarie, grazie soprattutto alla propaganda dell’oligarchia spodestata e dell’imperialismo.
La politica, cui deve essere delegato il compito di prendere le decisioni sul piano economico, ha aggiunto Vasapollo, ha l’obbligo di intervenire sul piano dell’educazione o su quello più propriamente pedagogico. Per far ciò, i rivoluzionari – ha spiegato Vasapollo, nell’ottica del Che e di Fidel, i quali esprimono una visione magmatica della rivoluzione (in linea come si è visto con Gramsci) che è in grado di rimuovere una ad una le eredità della società preesistente, in cui i rapporti mercantilistici la facevano da padrone – devono porsi sul terreno del tendenziale superamento delle categorie proprie del modo di produzione capitalista, che favoriscono la permanenza della produzione di valori e modelli di comportamento incompatibili nel lungo periodo con la costruzione dello stato socialista. Come è noto, Cuba era un paese sfruttato economicamente e umanamente dagli Stati Uniti e, pertanto, preesisteva un sentimento rivoluzionario di radice martiana. Dunque, fu possibile per i rivoluzionari ottenere l’appoggio delle masse, sfruttando la tradizione rivoluzionaria cubana. Anche Fidel, all’inizio, si poneva in un’ottica martiana e all’insegnamento di José Martí rimase, invero, sempre fedele. Tuttavia, come Guevara, il Comandante comprese l’importanza del marxismo sul piano dell’analisi e della prassi.
Anche in questo, ha continuato, Vasapollo, si può notare una convergenza con quanto sostenuto da Gramsci a proposito della necessità di recuperare gli elementi progressivi della cultura popolare, presenti a Cuba nel lascito di Martí. Tuttavia, nel contesto della rivoluzione cubana, al sentimento popolare contro l’imperialismo si è aggiunta la necessità di formare quei quadri tecnici che potessero far funzionare il sistema dell’isola a fronte del blocco decretato dagli USA. Per questo Guevara, ha aggiunto Vasapollo, ha sottolineato l’importanza sia della formazione di medici e ricercatori che l’investimento delle risorse nell’istruzione e nel comparto sanitario.
Infatti, ha concluso Vasapollo, quando si parla di pedagogia politica non bisogna fare riferimento alla sia pure fondamentale formazione del cittadino; ma, piuttosto all’uso e all’elaborazione di un pensiero pedagogico (e non solo) con finalità di esplicita trasformazione dei rapporti sociali, possibile solo con un processo di mutua educazione politica. Sono elementi presenti nell’azione rivoluzionaria del Che, ma neppure assenti in Gramsci, il quale ha spiegato che “educare il popolo” significa null’altro che renderlo convinto e consapevole “che può esistere una sola politica, quella realistica, per raggiungere il fine voluto”. Bisogna far comprendere, di fatti, al popolo che se si vogliono ottenere determinati fini, ovvero quelli attinenti alla collettività e al bene comune, occorre stringersi intorno e obbedire proprio a quel partito o gruppo dirigente, Gramsci l’avrebbe chiamato il Principe, che utilizza i mezzi adatti per raggiungerlo. Questo può avvenire solo attraverso l’elevazione delle masse, che consiste nel renderle partecipi degli obiettivi rivoluzionari e padrone dei mezzi che servono per realizzarli.
Vasapollo ha voluto concludere queste riflessioni con le parole del guerrigliero argentino che trovò la morte in Bolivia per spirito di sacrificio internazionalista: “quando ciascuno sarà capace di lottare nella sua trincea senza il bisogno di vedere che fa il soldato al proprio lato, quando voi saprete quanto è importante ottenere un’innovazione nella produzione, o ottenere che un compagno che stava indietro si elevi, o insegnare, quando sarete tecnici, ad un alunno che non sapeva niente, tutto quello che sapete voi; quando voi saprete che tutte queste cose sono tanto importanti come lottare difendendo la patria con un fucile, o con un’arma nella trincea, e quando saprete che tutto questo è parte di una sola lotta, una sola lotta mortale contro l’imperialismo, una lotta che non ha e non può avere altro fine che la distruzione dell’imperialismo e è una lotta in cui ci sono molti fronti, e l’imperialismo bisogna sconfiggerlo in tutti i fronti; quando tutte queste cose voi le avrete comprese così bene, quando queste cose non saranno solo parole che si accettano senza che siano parte della propria maniera d’agire, solo allora potrete dire di essere completamente dei rivoluzionari”.